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L’accoglienza e il volontariato che accolgono la fragilità

L'intervista di Interris.it alla dott.ssa Roberta Fornara, referente del progetto "Vuoi uscire con me", nato in provincia di Novara

L’inclusione sociale delle persone con disabilità e fragilità riveste una fondamentale importanza, partendo, anche e soprattutto dalle piccole attività della quotidianità, quali ad esempio il tempo libero e le vacanze. Il presupposto deve essere che ogni persona può essere parte della comunità e lavorare se si creano i contesti adeguati. Ognuno diventa, indipendentemente dalle proprie fragilità, una risorsa, per sé stesso e per gli altri. In tale azione, l’impegno dei volontari adeguatamente formati, diventa il presupposto per creare occasioni informali di socialità per le stesse persone con disabilità. Questo è l’obiettivo che si pone il progetto denominato “Vuoi uscire con me” il quale, in provincia di Novara, da oltre 15 anni, mette in atto pratiche inclusive con l’obiettivo di incrementare la socialità quotidiana delle persone con disabilità. Interris.it, in merito a questa attività progettuale, ha intervistato la dott.ssa Roberta Fornara, coordinatrice della stessa.

Le attività del progetto “Vuoi uscire con me” (© Roberta Fornara)

L’intervista

Come nasce e che obiettivi si pone il progetto “Vuoi uscire con me”?

“Il progetto “Vuoi uscire con me” nasce con l’obiettivo di offrire alle persone con disabilità occasioni di speciale normalità, inclusive nel contesto sociale e occasioni di pratica sportiva inclusiva. Il problema è molto chiaro, non ci sono società sportive in grado di accogliere ragazzi che hanno qualche disabilità o difficoltà di vario tipo e non esistono gruppi di amici che, con costanza e periodicità, invitino le persone che hanno una fragilità nelle normali attività, che sono ad esempio, andare a mangiare una pizza, vedere una partita allo stadio, recarsi a ballare, andare a una festa di paese o ad una mostra di arte. Quindi, l’obiettivo principale, è contrastare l’esclusione che, al livello sportivo e di tempo libero, purtroppo le persone con disabilità ancora vivono. Nasce perché Marco, un ragazzo con autismo, circa quindici anni fa, ci ha chiesto “ma perché il sabato sera non andiamo a mangiare una pizza?”. Da allora abbiamo cominciato ad organizzare delle pizzate con i suoi educatori e del personale professionale ma, ad un certo punto, ci siamo resi conto che aveva poco senso il fatto che, il terapista o l’educatore, uscissero a mangiare la pizza. Così, in quel periodo, sono giunti dei volontari che gradualmente, un sabato sera al mese, hanno cominciato ad uscire con un piccolo gruppo di ragazzi con disabilità, finché siamo arrivati ad avere delle serate con trenta persone ed abbiamo pensato che era arrivato il momento di fare altro, dividendo i gruppi e coinvolgendo più volontari. Così facendo, al momento, abbiamo un progetto che coinvolge 52 persone con disabilità con 35 volontari attivi ed un bacino di 70 persone le quali, anche sporadicamente, si mettono a disposizione”.

Quali sono le azioni che ponete in essere nei confronti delle persone con disabilità coinvolte nel progetto?

“Le azioni poste in essere sono: organizzazione di uscite e di tempo libero, costruendo gruppi divisi per età e competenze. Quindi, abbiamo gruppi di ragazzi con disabilità più gravi con un numero maggiore di volontari nonché gruppi di persone con una disabilità più lieve dove bastano meno volontari. Nelle uscite ci sono diverse fasce di età, dai 12 ai 20 anni, dai 20 ai 35 e dai 35 ai 65. Vengono poi realizzate azioni di pratica inclusiva sportiva, per le quali sono arrivate delle società sportive fantastiche che ci hanno chiesto di poter includere gli atleti con disabilità nelle loro attività. Pertanto, le azioni rispetto allo sport sono: corsi di barca a vela, canottaggio, ginnastica, sci, atletica leggera, chi kung e calcio. Un’altra azione sono i soggiorni, dei fine settimana, in inverno o in estate, o uscite in giornata in cui andiamo in montagna o al mare e stiamo via qualche notte, in modo tale di offrire sollievo anche alle famiglie. In tali attività ci sono sempre dei volontari, affiancati da un educatore o da un responsabile”.

Quali sono i vostri auspici per il futuro? In che modo chi lo desidera può aiutare le vostre azioni?

“Un auspicio per il futuro è quello di lavorare meglio sui volontari. Il progetto ha come beneficiari diretti le persone con disabilità, ma per noi i volontari sono importantissimi, una risorsa preziosa. Non solamente perché stanno a fianco delle stesse ma anche perché sensibilizzano i loro amici e la comunità. Questa è una azione culturale molto potente che ci permette di avere contatti con persone accoglienti in vari contesti, come ad esempio un ristorante, una pizzeria, una discoteca o un centro sportivo grazie ai volontari che spargono la voce e raccontano ciò che fanno. L’auspicio è quindi quello di rendere sempre più consapevoli i volontari, perché ciò significa migliorare la comunità e far sì che la stessa abbia una sensibilità più spiccata nei confronti della fragilità. Oltre a ciò, per noi è importante che una persona con disabilità possa scegliere cosa fare e non accontentarsi solo di quello che gli viene proposto, sviluppando così la propria autodeterminazione. Inoltre, ci piace molto lavorare con le famiglie, ultimamente arrivano da noi persone che nel tempo libero non frequentano nessuna associazione o non hanno fatto nessun percorso educativo. Rispetto a questo, il mio auspicio è che non ci siano più famiglie che tengono in casa le persone con fragilità ma ci sia sempre più una rete che supporti e accolga queste persone nei vari contesti, ciò è molto importante. Ci sono vari modi per aiutarci, uno e diventare volontario per conoscere da vicino le persone e il progetto oppure sostenere economicamente il progetto per il quale abbiamo un fondo aperto presso Fondazione Comunità del Novarese chiamato appunto “Vuoi uscire con me” al fine di finanziare tutte le attività che si svolgono durante l’anno o fornirci dei contatti di persone e attività interessanti che desiderano fare inclusione”.

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