Abbigliamento rigenerato per una moda sostenibile

Foto Rifò

Dal grande cesto delle parole se ne potrebbero pescare parecchie per cercare di indicare e descrivere tutte le anime – riunite in una, quella dell’abbigliamento etico – di Rifò, brand di circular fashion pratese: zero waste, economia circolare, prossimità, rigenerazione, filiera corta, tradizione, valore, artigianato. Una realtà imprenditoriale radicata sul territorio che ridà vita e valore ai tessuti dei capi di vestiario ripartendo dall’antica e raffinata tecnica di una figura dal nome umile ma dall’elevata abilità manuale, quella del cenciaiolo. Coloro che a mani nude recuperavano materiali dai vestiti usati, dividendoli per colore e consistenza ottenendo così i “cenci”, brandelli di abbigliamento, per farne di nuovi. Una rigenerazione in chiave non consumistica e sostenibile al massimo. “Si tratta di fare qualità premiando artigianato, savoir faire e storia del prodotto”, spiega a Interris il founder di Rifò Niccolò Cipriani, trentenne di Prato, “e di valorizzare i diritti e le condizioni dei lavoratori”. Ispirandosi ai principi di sostenibilità, responsabilità e qualità.

Foto Rifò

Nascita di un’idea

Nel 2017 Cipriani si trova in Vietnam durante due anni di progetti di cooperazione internazionale con le Nazioni unite e immagina la creazione di un brand di moda sostenibile. “Durante quell’esperienza in Asia, grande realtà manifatturiera, ho potuto visitare molte aziende tessili, notando il grave problema della sovrapproduzione”. Una soluzione gli viene offerta dalla tradizione tessile della sua Prato, città dove la pratica della rigenerazione delle fibre dei tessuti risale all’Ottocento. Decide allora di chiamare il suo progetto “Rifò”, espressione della sua terra natia che significa “rifare”, e apprende il know how dai cenciaioli pratesi in pensione, felici di far rivivere il loro antico mestiere. In pochi mesi, grazie a una campagna di crowdfunding, arriva sul mercato la t-shirt 100% rigenerata. Nel maggio 2018 Rifò entra nel programma accelerazione per startup “Hubble” di Nana Bianca, frutto della collaborazione di Fondazione Ricerca e Sviluppo e Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze e da lì in poi è un susseguirsi di nuove creazioni: nel marzo 2019 viene lanciato il primo maglione in tessuto denim, ricavato dai jeans, e un anno dopo la Giacca Avanguardista, il primo vestito di quel materiale.

Foto Rifò

(Ri)dare valore

In questa storia, oltre a rigenerare i tessuti e a far rivivere un artigianato che stava scomparendo, si ridà valore a quel capo di vestiario non più utilizzato. Non più un semplice oggetto di consumo quindi, ma un bene che possiede più di un valore economico, cioè la passione nel restituire vita a qualcosa che ai giorni d’oggi con troppa facilità e rapidità si dà per perduto. E accanto ai tradizionali lana e cashmere rigenerati, Rifò ha aggiunto il tessuto denim ricavato dai jeans. Un innesto dell’oggi nella tradizione. “Ci siamo chiesti come potevamo ampliare la nostra collezione anche alla stagione estiva e quando ci si è presentata la possibilità di rigenerare il cotone del jeans è nato primo maglioncino jeans”, racconta Cipriani. “E’ andato molto bene ed è stata una cosa molto importante per noi”.

Foto Rifò

Rete a chilometro zero

Filiera corta e no alla sovrapproduzione sono due ulteriori punti cardinali dell’idea di Rifò. “Produciamo nel nostro territorio in collaborazione con delle piccole aziende artigiane, sviluppando così una filiera con gli attori locali”. Questa infatti si estende nel raggio di 30 chilometri, l’area del distretto tessile di Prato, permettendo così di limitare l’uso di carburante, dare un sostegno all’economia locale, e abbassare i prezzi dei prodotti. Prodotti che vengono realizzati in una certa quantità, per non restare invenduti e ingrossare le file della produzione eccessiva.

L’ anima sociale

L’attenzione al sociale è nel dna di Rifò fin dall’inizio, così l’impresa ha negli anni fatto la sua parte insieme ad associazioni di volontariato e anche realtà nazionali per lo sviluppo di progetti che vanno dall’orto in città, per un progetto di educazione ambientale rivolto ai bambini e ai ragazzi, al finanziamento della gestione di Legambiente Prato di un rifugio nell’Appennino tosco-emiliano, dalla realizzazione di uno spazio per l’allattamento al seno all’ospedale di Prato alla gita in barca a vela per 15 ragazzi con problemi comportamentali. “Vogliamo restituire al territorio una parte di quella ricchezza che ci ha aiutato a creare”, spiega Cipriani.  In attesa del prossimo passo: “Una scuola professionale di cenciaioli per la formazione di persone migranti e di vittime della tratta”.

Lorenzo Cipolla: