“A Muzzarell'”: gli adolescenti e la crisi del mondo adulto

A Muzzarell adolescenti

Foto di scena (Ufficio stampa A Muzzarell')

Da Castel Volturno a Bagnoli. Quaranta chilometri, come quelli percorsi da Fidippide, post-battaglia e con armatura indosso, da Maratona ad Atene. Ma Daniele non è un eroe. E la sua battaglia la sta ancora combattendo. Con una mozzarella fatta in casa da consegnare alla nonna morente e un motorino a facilitargli il viaggio. Senza sapere che quel percorso, all’apparenza semplice, sarà prima di tutto un viaggio dentro sé stesso.

“A Muzzarell'”, opera del regista Diego Santangelo, è un’introspezione vestita da road movie. Attraverso una periferia che non è solo urbana ma è quella dei giovani cuori, messi alla prova dalle sofferenze della vita e dalla seduzione della via del guadagno facile. Con Daniele, infatti, c’è l’aspirante influencer Martina, attratta dall’eco della ribalta social e delle passerelle milanesi, assorbita anima e corpo dal suo smartphone. Attorno a loro, un mondo adulto che si sgretola, tra clan incantatori di serpenti e tradizioni familiari a controbilanciare la deriva di perdizione. “Gli adolescenti – spiega Santangelo a Interris.it – vivono una crisi. Hanno bisogno di una prospettiva diversa”.

Foto di scena (Ufficio stampa A Muzzarell’)

Diego Santangelo, “A Muzzarell'” è un progetto ambizioso e prossimo allo stesso tempo. Raccontare i giovani non è mai stato così complesso e, allo stesso tempo, necessario…
“Il tema dell’adolescenza è centrale nella mia vita. Non è stato un caso che abbia avvertito come stesse cambiando pesantemente l’aria per il mondo degli adolescenti. E oggi che usciamo col film, ci troviamo in una fase in cui la crisi dell’adolescenza e della preadolescenza sta esplodendo in tutta la sua drammaticità. Sottovalutare l’ampiezza di ciò che sta accadendo, come si sente dalla cronaca, è impressionante. Il film, in modo rispettoso, lieve, delicato e in parte romantico, prova ad arrivare alla coscienza di chi sente ancora come centrale l’esistenza dei giovani, in quanto eredi della Terra, del dono che abbiamo di una vita che dev’essere ricca ma non in termini materiali”.

Questo presuppone un cambio di prospettiva su determinati aspetti, specie quelli legati al mondo virtuale.
“È un percorso, quello che abbiamo davanti, in cui i ragazzi hanno la possibilità di distogliersi e perdersi nei meandri del facile guadagno. I modelli sono quelli che mutuano dai social, dagli influencer… La volontà, con questo film, è di dare ai ragazzi una prospettiva diversa, alla quale sono disabituati in quanto, forse, non gli è stato forse nemmeno impartita”.

È un problema di lettura del presente?
“Questo materialismo imperante, distoglie dalle questioni dell’anima, delle emozioni e dei sentimenti. Ci trasforma in automi pronti a correre a destra e sinistra per realizzare le esigenze di ogni giorno. In tutto questo, mentre i ragazzi passano ore a confrontarsi con un mondo virtuale, a volte orientato a proporre schemi orientati alla violenza, hanno smarrito completamente la possibilità di avere una indicazione, una frequenza con il mondo degli affetti. Sono un po’ lasciati alla balia digitale e confrontati con un mondo che non riescono più a decifrare”.

Foto di scena (Ufficio stampa A Muzzarell’)

Chi sono Daniele e Martina?
“Li troviamo in questa condizione di facile seduzione. Si avvicina lo spacciatore, seduce con una promessa veloce e ti ritrovi corriere, in giovanissima età, senza realmente sapere cosa ti aspetta. Daniele si trova sulla soglia di una decisione, di un’esperienza drammatica come il primo tiro di crack. Ma, per sua fortuna, riesce a sfuggire alla morsa dello spaccio. Martina, invece, è totalmente assorbita dal suo smartphone, con l’idea che da lì possa arrivare il successo, diventare modella o influencer di successo. Ciò la spinge a restare su un mondo virtuale nonostante tutto quello che vivono”.

Il ruolo del mondo adulto appare ambivalente: da un lato i falsi educatori, dall’altro coloro che faticano a esserlo in modo positivo…
“Il pensiero che ci ha mosso, come casa di produzione e a me come regista, diventa un pretesto per tentare di dialogare non solo coi ragazzi. Anzi, forse maggiormente con gli adulti, richiamando tutti a una responsabilizzazione necessaria, in questo momento, per non criminalizzare ulteriormente i fenomeni che nascono in area di disagio, nei ghetti dell’immigrazione, piuttosto che tra i figli della società benestante, non immuni a questi rischi. L’idea di poter esercitare violenza su un coetaneo è aberrante. Anziché vivere l’adolescenza nella sua pienezza, tra sogni, speranze e primi amori, si matura con l’idea che bisogna farsi largo in una giungla in cui vince il più forte. Assistiamo quindi all’imbarbarimento dei giovani che, se ci facciamo un esame di coscienza, è quello del mondo adulto, andato oltre ciò che le giovani generazioni possono elaborare e trasformare in comportamenti sani”.

Qual è il punto di arrivo?
“Il film dà a Daniele il compito di affrontare un percorso quasi iniziatico in cui il ragazzo dà allo spettatore la possibilità di calarsi nella sua mente e far sì che possa vedere il suo mondo, interiore ed esteriore. Il ragazzo, come tanti coetanei, ha perso l’infanzia ma, nonostante tutto, sta cercando una redenzione, attento alle suggestioni della coscienza, dell’anima e delle relazioni forti. Un tema affrontato dal film è quella dell’irruzione spirituale, in cui figure gentili rappresentano il legame tra il mondo materiale e quello non visibile che, però, interagisce con l’esistenza. E che è pronto a venire in soccorso. C’è una via di uscita da questa condizione di alienazione, violenza e corruzione, soprattutto se la si cerca nel cuore. Il fine ultimo è invitare i ragazzi a cercare dentro di sé risposte che non sono al momento disponibili, né dal mondo degli adulti né da quello dei social”.

Foto di scena (Ufficio stampa A Muzzarell’)

Il MacGuffin della mozzarella diventa un tema di confronto: dal crack, che stravolge il protagonista, al legame con la sua famiglia, rappresentato da un prodotto che la nonna vorrebbe gustare prima di morire…
“Viene preso in prestito un prodotto campano, che potrebbe suggerire un’idea folcloristica dietro quella del titolo. Portare in dono una mozzarella è un classico gesto napoletano che ha a che fare con gli affetti. E, in questo caso, va quasi in opposizione alla missione di portare un carico per il boss di quartiere. Ha un valore simbolico: il ragazzo prende un carico di purezza, perché la mozzarella rappresenta il candore, un simbolo materno, anche pensando alla sua forma. C’è la volontà di utilizzare questo pretesto come filo conduttore e simbolo di riscatto, recuperando quegli affetti perduti troppo presto, sia per la separazione dei genitori che per le difficoltà del quartiere”.

La nonna, che compare in diverse sembianze che rappresentano delle fasi della sua vita, ci testimonia l’urgenza di un dialogo tra le generazioni?
“Abbiamo pensato di far riflettere su elementi di preoccupazione, ad esempio quella delle donne costretta ad allevare i figli da sole, in modo lieve. Il film è sì duro, ha dei passaggi critici ma, alla fine, riesce a trasmettere l’idea romantica del percorso fatto dai nostri ragazzi con un messaggio di redenzione. Lasciando una chiave per prendere consapevolezza dell’urgenza, prendersi il tempo per capire dove abbiamo sbagliato come adulti e correre ai ripari”.

L’hinterland napoletano, in questo senso, è un modo per indicare la periferia in generale? Un contesto geografico che le raggruppa tutte…
“Condivido. Non è un film che vuole raccontare l’ennesimo episodio di camorra. Da Nord a Sud non mi sembra ci siano situazioni troppo diverse tra loro. Credo che il Paese sia quasi ormai ‘globalizzato’, le differenze regionali sono appena percepibili. Stiamo lavorando anche a un secondo progetto, in cui sarà Martina a essere protagonista della sua storia”.

Damiano Mattana: