Dal sacerdote anti-tratta al cronista anti-mafia. Nel 2019 a vincere il premio al Festival del giornalismo di inchiesta delle Marche era stato don Ando Buonaiuto. Nel 2020 il riconoscimento va a Paolo Borrometi. Con la motivazione: “Ha provato sulla propria pelle le difficoltà di scrivere e di trasmettere il rispetto ed il valore della legalità“.
Il coraggio di raccontare tutto con nomi e cognomi
“E’ sbagliato dire che tutto è mafia. Proprio per non cadere nelle generalizzazioni fuorvianti ho sempre raccontato con nomi e cognomi i responsabili dei business criminali ed è questo ciò che le cosche non tollerano”, afferma a Interris.it Paolo Borrometi. E’ prevista stasera, all’Auditorium Confartigianato, la nona edizione del Festival del Giornalismo d’Inchiesta delle Marche “Gianni Rossetti“, con la direzione artistica di Claudio Sargenti. Ad Ancona viene premiato il vicedirettore dell’agenzia Agi, Paolo Borrometi. Lo scorso anno a ricevere il riconoscimento era stato don Aldo Buonaiuto, direttore di In Terris.
La testimonianza civile di Paolo Borrometi
Le sue inchieste giornalistiche hanno portato allo scioglimento di amministrazioni pubbliche infiltrate dalla criminalità organizzata. I suoi reportage hanno terremotato l’establishment politico e finanziario che fa affari con i boss. Paolo Borrometi, vicedirettore dell’Agenzia Giornalistica Italia (Agi) è stato aggredito da uomini incappucciati, minacciato e costretto a vivere sotto scorta. Ad appena 37 anni il suo nome è sinonimo in Europa di “civic journalism” e la testimonianza che informare con coraggio, talento e onestà contribuisce in maniera determinante alla crescita democratica del terzo millennio globalizzato.
Premio nelle Marche
Particolarmente attuale il tema del Festival del giornalismo di inchiesta delle Marche. Giornalisti sotto scorta: le inchieste che scottano. Cosa comporta e i rischi che si corrono scrivendo la verità. L’educazione alla legalità. Intervengono Borrometi, consigliere nazionale della Fnsi, da anni sotto scorta e Fabiana Pacella. Giornalista professionista salentina free lance, collaboratrice di diverse testate giornalistiche, locali e nazionali e autrice di numerose inchieste che le sono costate minacce e avvertimenti.
La missione del cronista
Tre mesi fa un tribunale ha messo nero su bianco che Borrometi non è vittima di atteggiamenti minacciosi tout court, ma di condotte di stampo mafioso. Si è trattato di una sentenza fondamentale per la libertà d’informazione quella che conferma la gravità delle aggressioni. Nei confronti di un cronista di razza, messo nel mirino per aver illuminato le zone oscure del malaffare e dell’illegalità. Una nuova importante vittoria in tribunale per il giornalista siciliano più volte minacciato per via del suo lavoro di denuncia di mafia e malaffare. Una sentenza che rimarrà impressa negli annali perché costituisce una pietra miliare per la libera stampa e per l’espressione del pensiero nell’esercizio della professione di giornalista. Ma anche perché fissa un principio decisivo. Chi minaccia la libertà di stampa viola il sacrosanto diritto dei cittadini di essere correttamente informati. Osserva Borrometi: “Con il risarcimento alle parti civili è stato riconosciuto che, come reazione alle inchieste giornalistiche, il clan non minacciava soltanto me, ma la libertà d’informazione. E il diritto dei cittadini di venire a conoscenza delle dinamiche criminali che scopro e racconto nel mio lavoro giornalistico”.