I 21 martiri copti: l’ecumenismo del sangue

Preghiera ecumenica martiri

Foto © InTerris

“In nessun luogo, come sulla croce, si manifesta concretamente l’amore di Cristo”. Le parole del cardinal Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, assumono un significato ancora più profondo nella Cappella del Coro della Basilica di San Pietro, alla presenza di una rappresentanza della Chiesa copta e di una testimonianza di fede tanto profonda quanto vicina nel tempo. La croce come simbolo di sofferenza personale ma anche di prossimità a quelle altrui. E, nell’ambito della preghiera ecumenica celebrata in Vaticano, un segno di unità tra le Chiese. Perché la memoria dei 21 martiri copti, uccisi in Libia dai miliziani di Daesh nel 2015, è costruita sulla condivisione dei dettami della vita cristiana. Perché, “l’amore non può esistere senza investimento vita per gli altri. Il vero sacrificio non consiste nell’offerta beni materiali ma in quella di sé stessi”.

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I 21 martiri

Il Martirologio Romano li aveva accolti già lo scorso anno. Solo nel 2024, tuttavia, è stato possibile celebrare per la prima volta, in modo ecumenico, i 21 santi. Venti lavoratori egiziani, originari del villaggio di al-Our, emigrati per offrire una vita migliore alle loro famiglie. Il ventunesimo, un uomo di origine africana, del quale è noto il nome ma non la storia. E i cui resti mortali, come quelli dei suoi compagni di martirio, sono stati recuperati nel 2018, a tre anni di distanza dal massacro, senza che nessuno, tuttavia, li abbia mai rivendicati. Un oblio sulla vita terrena colmato dalla memoria del sacrificio, dall’inserimento nei 21 sia nelle torture patite che nella prova estrema. “La croce – ha ricordato il cardinal Koch – è manifestazione del più grande amore di Gesù: mostra che egli e il primo martire e quindi vero amico dell’uomo. Allo stesso tempo è modello esemplare del martirio dei cristiani che vivono nella sua sequela”. Del resto, fu Cristo stesso a ricordare ai suoi discepoli: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv, 15:18-21).

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La potenza della fede

Le voci del coro copto animano una preghiera sommessa, intensa ma vissuta nella gioia della condivisione. Quella auspicata da Papa Francesco, che ha invitato a riflettere sull’unità delle Chiese cristiane proprio attraverso il fulcro del martirio. Un “ecumenismo del sangue”, che nell’esempio di fede dei 21 ha trovato la sua emblematica rappresentazione. Perché ogni cristiano, come Gesù, “se giunge, accoglie il martirio su di sé, come conseguenza della lealtà alla sua fede”. Nella consapevolezza che, nell’esempio del martire, vi è “la vittoria dell’amore sull’odio”. Le virtù eroiche dei 21 affondano le loro radici in origini umili. Dalla nascita in povertà al viaggio della speranza, nonostante il terrore già sparso dall’estremismo violento del sedicente Stato islamico. Una vita raccontata dal documentario “Les 21: la puissance de la Foi”, realizzato da Samuel Armnius e mostrato nella Filmoteca Vaticana al termine della preghiera. Un viaggio attraverso le strade sterrate di Al-Our e nelle case dei santi, dove le famiglie ne raccontano il sacrificio in un delicato equilibrio tra il dolore della perdita e la gioia della santità acquisita per non aver rinnegato la propria fede, nemmeno di fronte alla morte.

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Uniti nella vita

Se il martirio è ecumenico, non può esserci divisione. Non tra i cristiani. La diversità tra le culture può essere ricchezza anche nella consapevolezza di un dolore condiviso. Perché il sacrificio dei 21, avvenuto sulle rive del mare libico, non è stato il solo ad aver colpito la religione cristiana: “Oggi – ha spiegato Koch – si contano addirittura più martiri dei tempi delle persecuzioni. L’80% dei perseguitati per la fede sono cristiani”. Ma è proprio di fronte all’intolleranza che può nascere un sentimento di fratellanza: “Ogni divisione può essere superata donando sé stessi nella causa cristiana. Nel sangue dei martiri siamo diventati una cosa sola”. Come disse Papa Francesco, proprio nel 2015, davanti a noi si pone “una grande sfida: se il nemico si unisce nella morte, chi siamo noi per dividerci nella vita?”.

Damiano Mattana: