Per capire basta un dettaglio: in fondo, nessuno ne sapeva nulla. Non una riga sui giornali – avidi di solito di queste cose – dedicata al dibattito: il dibattito semplicemente non c’è stato. Nemmeno una divisione tra e nei partiti. Tutti insieme, ma poco appassionatamente. Così ci siamo svegliati un mattino e abbiamo letto sui giornali, con lo stesso interesse con cui si legge la Gazzetta Ufficiale, che avevano cambiato la Costituzione, per concedere ai diciottenni di votare per il Senato. I diciottenni stessi non ne sapevano niente, né niente avevano chiesto. E pertanto nemmeno ringraziano, perché di dazione di diritti si tratta, non di conquista o di riconoscimento.
Il punto è questo: la concessione del diritto di voto per il Senato ai più giovani una semplice dazione non richiesta è stata, e come tale non ha alcun significato, né politico né civile. Siamo abbastanza vecchi per ricordare quando ai diciottenni venne dato il diritto di voto per la Camera: un’intera generazione salutò l’evento come epocale (persino il settimanale della Dc, “La Discussione”, titolò in copertina con una ragazza che scriveva sui muri “Da oggi ci siamo anche noi”: era la lezione di Moro). Oggi niente: indifferenza generale. E non è colpa dei diciottenni di oggi.
È, semmai, colpa di quell’asfissia di idee che caratterizza questo tramonto di repubblica, che continuiamo a chiamare la seconda solo – pare – per far venire nostalgia della prima. Siamo ancora alle prese con il covid, si licenziano 750 lavoratori a volta con una sola email (il bilancio societario ringrazia per il risparmio sulle spese postali), c’è l’opportunità di ricostruire il Paese come mai accadeva dagli anni 50 e cosa si inventano le attuali forze parlamentari? Una cosa di cui nessuno sentiva il bisogno, mentre in compenso è il trionfo del politicamente corretto. Cioè: la dazione di diritti superflui nel nome del rispetto di presunte minoranze da tutelare, oppure – in altri momenti – la punizione populistica e giustizialista, votata all’inefficacia, contro la presunta casta.
Risultato: il Paese si parcellizza e si frantuma ulteriormente, i problemi reali non sono affrontati. È stato lo stesso con l’inclusione nella Carta dell’obbligo di pareggio del bilancio, che nessuno né da noi né altrove ha mai considerato nulla più se non un obiettivo tendenziale. E le stesse quote rosa, prontamente applicate con una legge all’epoca del governo Monti (ma solo nei consigli di amministrazione, si noti), hanno creato posti nelle liste elettorali, e nelle amministrazioni pubbliche, però la disparità salariale tra uomo e donna è ancora lì come negli anni 70, e tutti ce ne dovremmo vergognare. Quanto alla tutela della maternità, o a quella del ruolo svolto dalla donna nell’ambito familiare, o alla promozione della famiglia in quanto tale tutto rimane come prima. Non basta far girare il frullatore per fare il frappè: devi trasformare la materia degli ingredienti, sennò è una presa in giro.
Quest’ultima riforma, poi, avrà una controindicazione che è già scritta nel suo bugiardino. Se tutti possono votare per tutto finisce che il bicameralismo diventa, ora sì, perfetto. E allora salterà fuori qualcuno che dirà che tanto vale abolire una delle due Camere, e tutti converranno. Ecco così data, per traverso, un’altra picconata ad un sistema che bastava poco per rendere efficiente, agendo sui regolamenti parlamentari invece che sulla fonte di ogni norma. E l’impianto costituzionale nel suo insieme risulterà ancor più squilibrato, tanto più che dei contrappesi giuridici auspicati e immaginati dopo la riduzione del numero dei parlamentari non si parla più, nemmeno tra gli esperti. Ma non importa. L’importante è che trionfi il politicamente corretto. Vale a dire: il sonno della ragione.