Dopo la solennità del Natale, incentrata sull’evento della nascita di Gesù Cristo a Betlemme circondato dall’affetto dei suoi genitori, Giuseppe e Maria, e dagli omaggi dei pastori e dei magi d’oriente, la liturgia della Chiesa presenta la festa del Battesimo del Signore che apre il tempo della sua vita pubblica in Galilea. La missione terrena del Figlio di Dio si apre con l’irruzione di Giovanni Battista che annuncia l’imminente arrivo del Regno di Dio e di “uno più grande di lui”. Col Battesimo per mano di Giovanni, Gesù da inizio alla sua missione. Così, con la predicazione di Giovanni Battista, si apre il Vangelo di Marco, l’unico dei Vangeli sinottici che non menziona la nascita e l’infanzia di Gesù. La chiamata dei primi discepoli, i primi segni e miracoli di guarigione e risurrezione accompagnano l’annuncio del Regno di Dio e preparano al grande evento della sua Passione a Gerusalemme.
I Vangeli presentano tuttavia un “buco” di diversi anni nel narrare le vicende storiche di Gesù che passa trent’anni «in una città chiamata Nàzaret» (Mt 2,23) «sottomesso» a Giuseppe e Maria (Lc 2,51) prima di manifestarsi al mondo.
La vita “nascosta” di Gesù a Nazaret ha da sempre destato interesse e curiosità. I Vangeli cosiddetti “apocrifi” hanno provato a ricostruire alcune scene o episodi dell’infanzia di Gesù, un tentativo viziato da intenti agiografici, catechetici o semplicemente frutto di un misto di fede e di fantasia dei primi cristiani. In mancanza di fonti storiche e scritturistiche sono state poi la letteratura, i racconti cinematografici o alcune (vere o presunte) rivelazioni private e provare a ricostruire il “pezzo mancante” della vita di Gesù con Giuseppe e Maria. Ma nulla di ufficiale si può dire o raccontare degli anni di Nazaret.
A questo punto sono gli studi storici ed archeologici del primo secolo a venirci incontro per cercare di contestualizzare e comprendere al meglio le vicende dei primi anni di Gesù. In questo filone si inserisce lo studio di don Francesco Giosuè Voltaggio, sacerdote della diocesi di Roma da molti anni in missione in Terra Santa e attualmente rettore del Seminario Redemptoris Mater della Galilea. Biblista, professore di Sacra Scrittura, esperto di letteratura rabbinica e autore di numerosi saggi e studi scientifici, Voltaggio ha pubblicato una trilogia intitolata “Alle sorgenti della fede in Terra Santa”, frutto delle trasmissioni condotte su Radio Maria. Dopo il volume sulle feste ebraiche e quello sull’attesa dell’avvento del Messia, il terzo volume è dedicato a “La vita nascosta del Messia nella Santa Famiglia di Nazaret” (Cantagalli, Siena 2022, pp. 270).
Come specificato dall’Autore, lo scopo del libro non è quello di «colmare presunte lacune nei vangeli, quanto piuttosto illuminare l’ambiente e il sottofondo per una più ampia comprensione degli eventi narrati» (p. 43-44).
È infatti entrando nel contesto storico, geografico, religioso e sociale, in quel particolare humus vitale che ha accolto l’incarnazione del Figlio di Dio, che si possono comprendere a pieno gli eventi della sua missione terrena. Sono dunque le testimonianze storiche e archeologiche, nonché le tradizioni e le usanze degli ebrei di quel tempo a permetterci di gustare e approfondire alcuni eventi che i Vangeli citano, o a cui accennano, senza approfondirne troppo i dettagli. Il sottofondo storico e culturale della vita di Gesù è dunque quello degli ebrei che vivono la loro vita nell’osservanza della Torah e nel rispetto delle leggi mosaiche.
«Il figlio di Dio – e con lui S. Giuseppe e la S. Vergine Maria – ha voluto così sottomettersi alla Torah. Egli è stato circonciso e presentato al tempio ed è stato formato all’osservanza della Torah, come qualunque altro ebreo del suo tempo» (p. 23). Riguardo ai genitori di Gesù «non va mai dimenticato che i due erano ebrei religiosi e osservanti della Torah» (p. 27).
L’evangelista Luca insiste molto su questo punto: narrando l’infanzia di Gesù, per ben cinque volte cita la “legge” per affermare che la Sacra Famiglia rispettò e compì i dettami della Torah prescritti da Mosè per il popolo ebraico.
La circoncisione, la presentazione al Tempio, la strage degli innocenti per mano del sanguinario re Erode (e la conseguente fuga in Egitto della famiglia di Nazaret, immagine dell’esilio), sono eventi che vanno necessariamente collocati all’interno di una cultura, di una tradizione e di un periodo storico specifici. Il riferimento costante alla storia del popolo ebraico e dunque all’Antico Testamento sono d’obbligo per leggere nella storia di Gesù di Nazaret il compimento delle promesse fatte da Dio al popolo eletto.
Particolare rilevanza hanno le vicende politiche relative a quella remota regione dell’impero romano governata da Erode il Grande (37 a.C. – 4 d.C.). «Conoscere la realtà storica in cui nasce il bambino Gesù di Nazaret e in cui vive la sua infanzia e adolescenza, aiuta a comprendere ancora più in profondità la potenza della sua missione. Egli nasce e cresce in una terra occupata dall’oppressore romano» (p. 95). In un contesto di oppressione politica e di continue ingiustizie il messaggio di Gesù irrompe come un annuncio rivoluzionario. Non certo una rivoluzione politica, come molti – seppur legittimamente – si aspettavano, ma una “rivoluzione del cuore” (p. 96). L’ebraismo del tempo era animato da quattro principali “correnti” religiose con le quali Gesù si trova a confrontarsi: farisei, sadducei, esseni e zeloti. Questi ultimi abitavano la zona della Galilea e alimentavano sentimenti di vendetta e di rancore verso il potere degli oppressori romani.
Non bisogna dunque dimenticare che «Gesù cresce in un momento politicamente e militarmente tormentato, tra guerre, divisioni e rivolte» ed è in questo contesto che annuncerà alle folle «Amate i vostri nemici» (p. 100). Tutto questo partendo dal “nascondimento” di Nazaret un piccolo villaggio della Galilea, non lontano dai grandi centri della regione: le città di Iafia e Sefforis, grandi centri fortificati, attrezzati e ricchi di prestigio e notorietà.
Particolari dettagli emergono nel libro riguardo alla lingua parlata da Gesù, alla casa dove abitò e alla formazione ricevuta in famiglia e in sinagoga. Mentre nell’impero il latino era riservato alle classi più alte e il greco era la lingua di “moda” dopo la conquista della Grecia, la lingua usata da Gesù era l’aramaico benché è plausibile che Gesù conoscesse il greco, che presumibilmente usò per dialogare con Ponzio Pilato. La casa dove visse la famiglia di Nazaret durante i primi anni della vita di Gesù fu quella di Giuseppe conosciuta oggi come la “Casa della nutrizione”. È qui che Gesù ricevette la formazione umana e spirituale secondo i dettami della Mishnà e del Talmud che prevedevano l’impegno nel lavoro (mestieri) e nello studio delle Scritture. La trasmissione della fede da parte dei genitori e la formazione nella piccola sinagoga di Nazaret passava attraverso i racconti biblici come – ad esempio – quello del sacrificio di Isacco conosciuto come “Aqedà” (che letteralmente significa “legatura”), un testo probabilmente letto durante la Pasqua già dal primo secolo e che, arricchito da ornamenti e interpretazioni midrashiche, veniva utilizzato per catechesi orale dei giovani.
Un ambiente, quello storico-culturale e religioso del primo secolo, di cui Gesù è figlio ed erede e che ha composto lo sfondo in cui è cresciuto e in cui si è preparato per compiere la sua missione. Una immersione in questo “humus vitale” è necessaria oggi per noi cristiani, al fine di comprendere e apprezzare al meglio i racconti che gli evangelisti ci hanno trasmesso “diligentemente”, al fine di trarne profitto per la nostra fede e di poterli annunciare e trasmettere alla presente e alle prossime generazioni.