Gli ultimi dati relativi all’infezione da Covid-19 dimostrano che i contagi, dal picco più basso di 162 del 15 luglio, sono ricominciati a salire fino a 1444 del 29 Agosto. Le cause sono indubbiamente da ascrivere agli assembramenti scriteriati che prevalentemente i giovani hanno messo in atto durante il periodo estivo senza usare gli accorgimenti prescritti: distanza di sicurezza e mascherine là dove richiesto e raccomandato. A questa situazione si sono aggiunti poi i rientri di coloro che, di ritorno da quei Paesi esteri dove il virus è fortemente diffuso, sono risultati positivi al tampone; non ultimo l’immigrazione mal gestita che, al di là della doverosa accoglienza, ha indubbiamente contribuito all’aumento del picco dei contagi.
A fronte di tutto ciò e per una corretta informazione, occorre però sapere ben interpretare i dati giornalieri trasmessi ai media dai mezzi di comunicazione sul reale aumento dei contagi. Occorre rilevare infatti che i dati quotidianamente comunicati sono relativi al numero dei tamponi effettuati e non calcolati in percentuale tra numero giornaliero di tamponi effettuati e numero di positivi riscontrati. Va da sé ovviamente che tanto maggiore è il numero dei tamponi effettuati, tanto maggiore ovviamente sarà la probabilità che il numero dei positivi aumenti, viceversa il dato in percentuale fornirebbe una comparazione diversa e certamente più significativa del reale trend di crescita dei contagi.
Ma come è cambiata la malattia oggi rispetto al suo esordio? Certamente allo sato attuale possiamo affrontare i nuovi positivi con una conoscenza del virus ben diversa che non al suo inzio, sia attraverso una più rapida diagnosi dovuta all’aumento del numero di tamponi, sia a nuove terapie che certamente allo stato attuale rendono meno preoccupante l’evolversi della malattia. In questo contesto non si possono poi non fare alcune osservazioni che hanno contribuito a creare confusione nell’informazione quali i continui litigi tra virologi, spesso sconosciuti e che hanno scambiato i mezzi televisivi, e non i consessi scientifici, come ribalte per avere visibilità in campo scientifico.
Anche la politica si è inserita nel dibattito dividendosi tra “negazionisti” – termine improprio: “che nega l’esistenza” – assertori di maggiori aperture relative al rilancio del sistema produttivo e al contrario gli accaniti sostenitori di maggiori norme restrittive e quindi chiusi alle problematiche economiche che sicuramente incidono negativamente nella vita sociale e produttiva del Paese. Ed allora cosa ci si deve aspettare d’ora in avanti, acclarato che certamente in qualche maniera per le ragioni suddette il virus sta riprendendo la propria capacità infettiva? Certamente la riapertura delle scuole comporterà ulteriore capacità di trasmissione virale tra insegnati studenti e famiglie coinvolte, è altrettanto vero però che gli stessi ragazzi hanno bisogno di vita collettiva, non potendo più essere relegati in casa con la didattica a distanza e conseguente diminuito rapporto psico-relazionale, fondamentale nella crescita di un ragazzo. Tutto ciò sarà reso ancor più difficoltoso dal teorico uso della mascherina che è dimostrato provoca, se portata più ore, senso di calore, irritazione, difficoltà respiratoria e di concentrazione oltreché bassa accettazione della mascherina stessa.
Sarebbe in tale ottica preferibile, anziché delle mascherine, l’uso di visiere protettive trasparenti che avrebbero il vantaggio di proteggere dalla trasmissione diretta del virus attraverso i colpi di tosse o starnuti e nel contempo poter essere indossate dallo studente senza troppa fatica per tutto l’orario didattico. Confortano oggi però alcuni dati importanti: la maggiore capacita diagnostica essendo aumentati il numero dei tamponi e quindi la possibilità di circoscrivere in tempi rapidi eventuali focolai; l’attenuata carica virale testimoniata dal numero degli asinto-paucisintomatici suffragata dalla diminuzione del numero dei ricoveri; la possibilità terapeutica domiciliare con la somministrazione di antimalarici, antibiotici, cortisonici e anticoagulanti; infine il trascurabile numero dei ricoveri in rianimazione e quindi conseguentemente dei deceduti.
Certamente un grande contributo alla terapia del Covid-19 e alla conseguente diminuita mortalità dei pazienti ricoverati, lo si deve all’uso del plasma iperimmune da soggetti precedentemente contagiati e poi guariti. La plasmaferesi consiste nel prelievo di sangue da un soggetto, con immediata separazione della componente liquida (plasma) da quella corpuscolata (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine). La plasmaferesi è una procedura fondamentale quindi per la produzione dei cosiddetti farmaci plasmaderivati usati da tempo nella terapia di molte malattie. Nella componente liquida del sangue, infatti, troviamo notevoli quantità di proteine, quindi anticorpi (immunoglobuline), ormoni peptidici, fattori della coagulazione e proteine necessarie al trasporto delle sostanze insolubili.
Anche sull’uso del plasma iperimmune si è aperta nondimeno una querelle tra i Sanitari degli ospedali di Mantova e il San Matteo di Pavia che hanno messo a punto la metodica con eccellenti risultati, e alcuni virologi contrari a tale terapia, sostenitori al contrario della somministrazione di derivati sintetici forniti da case farmaceutiche e peraltro dal cospicuo costo. “Diciamo che la percezione viene dagli stessi pazienti, sono loro che ci dicono che il miglioramento è immediato; scompare la febbre, in alcuni casi scompare la tosse in modo istantaneo, i parametri respiratori funzionano. Ci raccontano di avere la sensazione di acquisire fin da subito un po’ di forza e benessere“. Questo quanto dichiarato da De Donno, direttore della Pneumologia e dell’Unità di Terapia intensiva respiratoria dell’Ospedale Carlo Poma di Mantova tra i primi sperimentatori della cura al plasma che poi aggiunge: “Non abbiamo registrato alcun effetto collaterale. Il plasma è sicuro e a costi estremamente bassi. Quello che abbiamo osservato sono alcuni punti fondamentali: in circa il 90% dei casi selezionati si è ottenuta la negatività sul tampone e una significativa riduzione della mortalità e dei tempi di ricovero”.
Per concludere, allo stato attuale con una buona dose di ottimismo e in attesa della realizzazione del vaccino, possiamo affermare che: vi è un’indubbia ripresa della malattia frutto d’irresponsabili comportamenti, soprattutto da parte di giovani che non hanno applicato le norme di prevenzione. La malattia è meno aggressiva per probabile attenuazione della carica virale, come per possibile mutazione del virus testimoniato dall’aumento degli asinto-paucisintomatici, dalla diminuzione del numero degli ospedalizzati e dei degenti nelle sale di rianimazione, nonché dalla diminuzione della mortalità. La terapia domiciliare con i farmaci oggi disponibili ha significativamente ridotto il numero dei ricoveri, in particolare la terapia ospedaliera con plasma iperimmune e a basso costo ha permesso, in casi selezionati, di guarire pazienti un tempo difficilmente recuperabili.
L’aumento della capacità diagnostica attraverso il crescente numero dei tamponi è al momento l’unica soluzione nel circoscrivere eventuali focolai. Rimangono sempre valide le norme di prevenzione come lavarsi spesso le mani, l’uso delle mascherine soprattutto se in luoghi chiusi e il mantenimento della distanza di sicurezza di oltre un metro. Da ultimo ma non ultimo, accanto alla tutela della salute bisognerà tener conto anche della salvaguardia dell’economia in un giusto equilibrio col welfare.