“Verso un noi più grande”. Queste le parole scelte da Papa Francesco per la 107ma Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato del 20 giugno 2021. Il Papa ricorda come nella Lettera Enciclica Fratelli tutti ha espresso una preoccupazione e un desiderio: «Passata la crisi sanitaria, la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di auto-protezione egoistica. Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”» (n. 35).
Anche quest’anno, anche in questi ultimi giorni, siamo a parlare di traversate, di sbarchi, di morti. Penso che quello delle persone migranti sia uno dei pochi temi che riesce a prevalere sul Covid19 e come quest’ultimo viene preso come un’epidemia. Ciò che continua a stridere è la mancanza – sia a livello istituzionale che di credenza comune – di verità sul motivo per il quale tante persone migrano e sempre più spesso risuona la frase Ognuno resti a casa propria, un ritornello quotidiano, un modo per indicare che a casa mia non ti voglio, che il muro è alto e la porta è chiusa.
Ma infondo cosa significa casa? Chi ne parla? E a chi? La casa è il luogo delle relazioni, il luogo che dà sicurezza, agiatezza, ristoro. Ma casa è anche la Comunità a cui appartengo e con cui costituisco un’identità di popolo. E’ un concetto che geneticamente appartiene a tutti noi, al punto da diventare un bisogno primario. Senza una casa non sei nessuno, sei invisibile, emarginato e reietto. A pensarci bene però oggi casa è sinonimo di casta, serve a distinguere le persone dagli … altri uomini.
Allora forse dobbiamo andare più in profondità e cercare di capire se la parola uomo o persona appartiene a tutti o solo a coloro i quali fanno parte di una casta, che hanno uno status civile ed economico dominante, che hanno la loro Casa e di questa sono rappresentativi. Persone che hanno sentito il bisogno di ricercare, acquisire e comprare titoli aggiuntivi, di carriera e ricchezza per accumulare e gestire. E’ così che il potere si è nel tempo concentrato nelle mani di pochi, il benessere in poche porzioni di questa Terra, con una nuova forma di colonizzazione.
Cosi sono iniziate le migrazioni verso quelle terre dominanti, sperando di diventare parte della casta, di avere una casa. La migrazione è stata ed è fenomeno circolare, nel tempo ha riguardato tutti, c’è chi ha trovato casa, c’è chi e divenuto casta, c’è chi è ancora in viaggio.
Sono ancora parole di Papa Francesco: “Ogni persona o famiglia che è costretta a lasciare la propria terra va accolta con umanità”. Anzi, “in questa ottica il modo in cui una Nazione accoglie i migranti rivela la sua visione della dignità umana e del suo rapporto con l’umanità”. Ecco allora riproporre i quattro verbi attorno alla questione migranti: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.
Mi è sembrato già due anni fa un grande invito a tutti noi a costruire e divenire casa e reagire e agire a un tempo in cui gli uomini migrano, le guerre per il potere distruggono Città, Nazioni e persone, la strada diventa casa e le tempeste sociali producono povertà lasciando uomini e donne senza casa, senza dignità.
Se questo ragionamento ha un senso allora la frase Ognuno resti a casa propria suona come auspicio. E’ la concreta possibilità che si scelga finalmente una sostenibilità per tutti, si aderisca al concetto per cui la terra può sfamarci tutti e se tutti si sfamano, nessuno morirà più di fame e di opulenza.
Proviamo ad accettare questa nuova profezia, questa nuova ma antica legge naturale che ci fa nascere nello stesso modo, da un amore e per amore, che non accetta idoli d’oro e si nutre di laica fratellanza. Ognuno resti a casa propria perché tutti hanno le medesime opportunità. Ognuno resti a casa propria, perché tutti hanno la capacità generativa di cambiare il mondo, perché la terra sia casa per tutti.
Qui si trova il legame forte con il nostro comune cammino in questo mondo, “verso un noi sempre più grande”. Il tempo presente, infatti, ci mostra che il noi voluto da Dio è rotto e frammentato, ferito e sfigurato. E questo si verifica specialmente nei momenti di maggiore crisi, come ora per la pandemia. I nazionalismi chiusi e aggressivi (cfr Fratelli tutti, 11) e l’individualismo radicale (cfr ibid., 105) sgretolano o dividono il noi, tanto nel mondo quanto all’interno della Chiesa. E il prezzo più alto lo pagano coloro che più facilmente possono diventare gli altri: gli stranieri, i migranti, gli emarginati, che abitano le periferie esistenziali.
Straordinario l’appello che Papa Francesco fa ai cattolici, chiedendo che realizzino quanto San Paolo raccomandava alla comunità di Efeso: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4,4-5)…capaci di abbracciare tutti per fare comunione nella diversità, armonizzando le differenze senza mai imporre una uniformità che spersonalizza.
Nell’incontro con la diversità degli stranieri, dei migranti, dei rifugiati, e nel dialogo interculturale che ne può scaturire ci è data l’opportunità di crescere come Chiesa, di arricchirci mutuamente.
“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,7-8) è l’apoteosi della vita stessa, un dono di cui essere grati e da condividere con tutti gli altri esseri umani, unica famiglia che si china su chi è smarrito, senza pregiudizi o paure, senza proselitismo, ma pronta ad allargare la sua tenda per accogliere tutti.
“A tutti gli uomini e le donne del mondo – conclude Papa Francesco – va il mio appello a camminare insieme verso un noi sempre più grande, a ricomporre la famiglia umana, per costruire assieme il nostro futuro di giustizia e di pace, assicurando che nessuno rimanga escluso… A tutti gli uomini e le donne del mondo chiedo di impiegare bene i doni che il Signore ci ha affidato per conservare e rendere ancora più bella la sua creazione”.