Siamo gli unici animali in grado di leggere, per ora – e lo facciamo soprattutto spinti da questioni pratiche. Bollette del gas, missive condominiali, contratti di lavoro, ricette mediche, annunci funebri. Poi, lettere d’amore, se qualcuno ce ne scrive; e magari giornali, o informazioni sullo schermo di un computer. Solo dopo tutto questo, se c’è tempo, si apre il tempo e lo spazio dei romanzi. In questo tempo insolito, qualcuno ha detto che sarebbe stato il tempo ideale per leggere. Qualcun altro ha detto: ho tempo, ma non la testa. Non c’è da sentirsi in colpa. L’apertura che i libri mostrano nei nostri confronti è di solito inversamente proporzionale a quella di chi, per mestiere, dovrebbe difenderli. E non bisogna farsi ingannare da chi esalta, in modo troppo generico, il piacere della lettura.
Il piacere della lettura, in senso astratto, forse non esiste. Esistono semmai il piacere, il divertimento, la commozione, il dolore, la noia, il fastidio, l’indignazione, la sorpresa ecc., suscitati di volta in volta dai singoli libri. Così, festeggiarli – in questa Giornata mondiale del libro passata in quarantena, con le librerie appena riaperte – vuol dire festeggiarci. Perché se leggere sembra un ulteriore isolamento, con la concentrazione e il silenzio che richiede, in realtà apre le porte. Fa entrare nella nostra vita molte più persone di quelle che davvero riusciamo a incontrare per strada. Consente, da fermi, al chiuso, di intrattenersi con bambini, adolescenti, adulti, vecchi e con il mistero di ciascuno. Il bello è lasciarsi toccare da queste esperienze, lasciarle depositare in noi. Avere, quasi sempre, le vertigini, per come si spalanca – leggendo – non solo lo spazio ma il tempo. Una specie di miracolo.
L’unica macchina del tempo che ci è dato sperimentare sono i libri. Esistono luoghi del presente che probabilmente, senza i libri, non conosceremmo mai, ma soprattutto luoghi del passato. Non è straordinaria l’opportunità, che un romanzo offre, di attraversare spazi dentro un tempo cancellato? Io c’ero, viene da esclamare, pensando alla luce grigiastra della battaglia di Waterloo, a cui abbiamo partecipato seguendo Fabrizio nella Certosa di Parma di Stendhal. «Aveva bevuto troppa acquavite, stava male in sella; a proposito si ricordò di quel che usava dire il cocchiere di sua madre: quando si è alzato il gomito, bisogna guardare tra le orecchie del cavallo e fare come fa il vicino». Io c’ero, mentre Emma Bovary leggeva romanzi d’amore, e a sua volta sognava altri tempi e altra vita. «E cercava di scoprire che cosa in realtà s’intendesse nella vita con le parole felicità, passione ed ebbrezza che nei libri le erano parse così belle». Io c’ero, c’eravate anche voi. E mi dispiace di avere dimenticato molte cose; vorrei pensarci ogni giorno. Tom Sawyer che dipinge lo steccato! E più indietro, più lontano, fino alle prime storie raccontate da voce umana.