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Valutazioni e critiche che accompagnarono la firma dei Patti Lateranensi

L’11 febbraio del 1929, il cardinale Pietro Gasparri, segretario di Stato e l’On. Benito Mussolini, capo del governo solidamente al potere, dopo la Marcia su Roma, da sette anni – nel 1922 era iniziato anche il pontificato di Pio XI  –  firmano le Inter Sanctam Sedem e Italiae Regnum Conventiones, note come Patti del Laterano, dal nome del palazzo in cui furono sottoscritti, per essere, successivamente, il 7 giugno, ratificati dal pontefice e dal re Vittorio Emanuele III. Sono composti di tre distinti ma interconnessi documenti: Trattato (con annessi tre allegati riguardanti il Territorio dello Stato della Città del Vaticano, gli Immobili con privilegio di extraterritorialità e con esenzione da espropriazione e da tributi, gli Immobili esenti da espropriazioni e da tributi), Concordato e Convenzione finanziaria. 

Le ragioni e finalità del Trattato e del Concordato sono riassunte nelle premesse dei due documenti. “Premesso che la Santa Sede e l’Italia hanno riconosciuto la convenienza di eliminare ogni ragione di dissidio fra loro esistente con l’addivenire ad una sistemazione definitiva dei reciproci rapporti, che sia conforme a giustizia ed alla dignità delle due Alte Parti e che, assicurando alla Santa Sede in modo stabile una condizione di fatto e di diritto la quale Le garantisca l’assoluta indipendenza per l’adempimento della Sua alta missione nel mondo, consenta alla Santa Sede stessa di riconoscere composta in modo definitivo ed irrevocabile la «questione romana», sorta nel 1870 con l’annessione di Roma al Regno d’Italia sotto la dinastia di Casa Savoia; che dovendosi, per assicurare alla Santa Sede l’assoluta e visibile indipendenza, garantirle una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale, si è ravvisata la necessità di costituire, con particolari modalità, la Città del Vaticano, riconoscendo sulla medesima alla Santa Sede la piena proprietà e l’esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana”.

“Premesso che fin dall’inizio delle trattative tra la Santa Sede e l’Italia per risolvere la «questione romana» la Santa Sede stessa ha proposto che il Trattato relativo a detta questione fosse accompagnato, per necessario complemento, da un Concordato, inteso a regolare le condizioni della Religione e della Chiesa in Italia”.

Con la Convenzione Finanziaria lo Stato Italiano rifonde alla Santa Sede con una somma complessiva di un miliardo e 750.000 lire “i danni ingenti subiti dalla Sede Apostolica per la perdita del patrimonio di San Pietro degli antichi Stati pontifici e dei beni degli enti ecclesiastici”.

Quali furono le valutazioni e le critiche al momento della loro firma? Sono noti i timori espressi sia da don Luigi Sturzo dal suo esilio londinese, sia di Alcide De Gasperi, sull’uso strumentale che il Regime ne avrebbe fatto al fine di consolidare la sua presa totalitaria sulla società italiana oltre che sulle istituzioni. Di grande intelligenza e preveggenza sono, in ambito ecclesiastico, le riflessioni di monsignor Domenico Tardini, futuro segretario di Stato di Giovanni XXIII, contenute in un suo diario personale, da me pubblicato nel 1988 per i tipi della Studium, nel volume Domenico Tardini 1888-1961. L’azione della Santa Sede nella crisi fra le due guerre:

Liquidare la questione romana fu senza dubbio un gran bene per l’Italia che si tolse di colpo di fronte ai cattolici dell’estero la dolorosa nomea di spogliatrice e carnefice del Papa e per la Santa Sede, che, con l’andare degli anni, sarebbe stata ridotta a protestare senza che nessuno la prendesse sul serio, perdendo, così, oltre il regno, il prestigio. (…) Ma fu davvero vantaggioso il Concordato, cioè un vero e proprio patto bilaterale, con circa 40 articoli, con disposizioni così varie, così complesse, così molteplici da dare ad ogni piè sospinto la possibilità di dissidi e di lotte. Tutti i concordati sono destinati ad essere trasgrediti ed infine a cadere…”.

Gli sviluppi dei Patti del Laterano nel tempo solo in parte hanno confermato le pessimistiche previsioni tardiniane. Una prima fondamentale loro conferma è costituita, infatti, dopo la Liberazione e l’elezione dell’Assemblea Costituente, dall’approvazione, nel 1947, con il voto favorevole della Dc  e anche del PCI, dell’articolo 7 della Costituzione che recita: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”.

Era garantita con questa, non scontata, intesa non solo la pace religiosa in Italia ma anche la piena accettazione da parte della Chiesa cattolica del nuovo assetto democratico e repubblicano del Paese.

Una seconda verifica si ha con la Revisione del Concordato, firmata, il 18 febbraio del 1984, dal presidente del Consiglio Bettino Craxi e dal segretario di Stato, cardinale Agostino Casaroli, dopo una lunga e laboriosa trattativa, protrattasi per quasi un decennio, nella quale, nella fase finale, svolsero un ruolo importante monsignor Achille Silvestrini per la Santa Sede e Gennaro Acquaviva per il governo italiano. Le innovazioni importanti contenute sono il risultato congiunto, come recita il preambolo del testo della Revisione, “del processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia negli ultimi decenni e degli sviluppi promossi nella Chiesa dal Concilio Vaticano II”.

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