Ibambini non si comprano e le donne non sono contenitori. Suonano come slogan femministi degli anni settanta le parole d’ordine del fronte sociale, sempre più ampio, che si oppone alla barbara pratica dell’utero in affitto. Non importa quale sia la tua idea politica, il tuo orientamento sessuale, che tu sia ateo o credente, per poter riconoscere che mercificare anche l’atto primigenio della vita e la gestazione di una madre rende ogni vita un prodotto da scambiare.
Volendo anche tralasciare per un attimo ogni discorso di ordine etico e morale, non è possibile però ignorare quanto dicono la scienza e decenni di ricerca sulla fisiologia della gravidanza e del parto. Il fatto che viviamo nove mesi nell’utero di nostra madre non è un’esperienza indifferente, c’è una comunione fisica, biologica ed emozionale. Non ci passa solo le sostanze per vivere, ma anche ormoni e serotonina che influenzano il nostro cervello. Il legame fetale è di fondamentale importanza e condiziona molti aspetti della strutturazione del corpo e della personalità del nascituro.
Non a caso, infatti, l’industria dell’utero in affitto, che in tutto il mondo muove miliardi dollari (un bambino ottenuto da una donna statunitense o canadese può arrivare a costare anche 150mila $, tariffe più ridotte invece per le gestanti del terzo mondo) obblighi le madri surrogate a firmare contratti capestro, in cui si chiede alla donna “contenitore” di non instaurare un rapporto emotivo con il feto. Le ragazze sono spronate a pensare che quel bambino non sarà il loro, che lo stanno facendo per altri. Apposite postille dell’accordo invitano persino a non accarezzare la pancia. Insomma per evitare qualsiasi legame affettivo non solo si utilizzano ovuli (acquistati anch’essi) diversi da quelli della gestante ma si chiede a quest’ultima, che viene bombata da ormoni anti-rigetto, di portare avanti la gravidanza come una macchina incubatrice.
Descrive perfettamente questa drammatica condizione l’attivista femminista Alessandra Bocchetti che, sul blog del Corriere della Sera “La Ventisettesima Ora”, ricorda il consiglio che dà la vecchia prostituta alla giovane: “Pensa di essere un’altra, pensa che non sei tu”. “E’ un invito – sottolinea la Bocchetti – ad una schizofrenia amichevole, un gioco assai pericoloso”.
Bisognerebbe poi parlare delle ripercussioni psico-fisiche sul bambino. Dei suoi innumerevoli diritti violati, primo di tutti quello ad non essere strappato dal seno della madre dopo pochi minuti dal parto, per essere consegnato alla coppia committente, etero o omo che sia. Non basterebbero 20 pagine di In Terris per mettere a fuoco questa violenza che dovrebbe essere compresa senza troppe spiegazioni, ma segno inequivocabile della decadenza sta nel dover ribadire e motivare cose normalmente considerate ovvie.
Sta di fatto però che la battaglia trasversale contro l’utero in affitto portata avanti da mondi con radici culturali molto distanti – associazioni pro family e pro-life da una parte e movimenti femministi dall’altra – sta scalfendo lentamente la narrazione dei falsi miti di progresso che ha agito indisturbata per diversi anni. L’indignazione montante su questo tema ha creato una crepa sull’altare della “sacra libertà individuale” che, guarda caso, non copre mai i diritti dei nascituro, l’unico che non ha possibilità di scelta.
Anche le ragioni di coloro che chiedono di riconoscere immediatamente la genitorialità delle coppie (etero e omo) che ottengono un bambino tramite una Gpa (gestazione per altri) eseguita all’estero sembrano venire meno, dopo i continui appelli alle anagrafi a non fornire l’automatica iscrizione priva di verifiche e controlli. Ormai si è compreso che la strategia per introdurre i cosiddetti “nuovi diritti” è sempre la stessa: si parte dal singolo caso in cui “nel migliore interesse del minore” si riconosce la genitorialità di entrambi i partner e da lì si va ad enucleare un principio che va a sradicare l’antropologia umana.
Intanto, l’opinione pubblica mondiale sta aprendo gli occhi. Solo 18 Paesi, su un totale di 206, consentono questa pratica e recentemente molti governi l’hanno vietata in Stati dove prima era legale, come in India, Nepal, Messico e Thailandia, dopo aver registrato numerose violazioni dei paletti posti dalle varie normative. Persino il governo socialista spagnolo, su posizioni molto progressiste in materia di temi etici, ha recentemente approvato una dichiarazione contro le “pance a noleggio”.
In Italia la pratica è vietata dalla legge 40 sulla procreazione assistita ma non sono previste sanzioni per chi ne usufruisce all’estero. Per fermare questo mercato sale quindi da diversi ambienti la richiesta una moratoria internazionale contro la maternità surrogata. Una recente campagna del gruppo femminista “Se non ora quando libere” ha portato ad esporsi anche diversi esponenti del Pd che si sono detti contrari ad ogni forma regolamentazione-legalizzazione della pratica. Dichiarazioni importanti che hanno scosso il partito visto che il responsabile del Dipartimento tematico dei diritti civili del Pd è Sergio Lo Giudice, noto attivista omosessuale, che è ricorso due volte alla pratica della Gpa, con il suo compagno, per avere dei figli.
Per opporsi all’utero in affitto bisogna dunque rivedere completamente la questione dei diritti civili che spesso sono in aperto contrasto con i più elementari diritti umani. Da qui in molti sono ripartiti per ricostruire una società veramente attenta al migliore interesse del bambino, della donna e del bene comune.