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Usa e Cina: amici mai

Grande enfasi è stata data agli accordi commerciali tra Stati Uniti e Cina per 250 miliardi di dollari che Donald Trump ha stretto con Xi Jinping nella Sala del Popolo di Pechino. Al di là delle foto di rito che ritraggono i due leader sorridenti, l’analisi non può non considerare aspetti che sfuggono a una lettura superficiale del viaggio dell’ex tycoon americano in Asia. Va considerato che nei rapporti internazionali, oltre ai fatti e agli interessi, contano anche le percezioni di essi, che talvolta sono molto complesse.

E al di là dell’Oceano, la percezione che si ha della Cina e del suo regime resta sempre di pericolo. Ecco allora che il viaggio di Trump in Asia deve necessariamente essere interpretato come una mossa per ridefinire gli equilibri geopolitici dell’area per far riguadagnare a Washington la posizione che ha perso nel Pacifico. Sono infatti in tanti a pensare, negli Stati Uniti e non solo, che sia stata fallimentare la strategia di Barack Obama definita “pivot to Asia”, ossia lo spostamento del baricentro militare statunitense dalla zona atlantica a quella pacifica e il sostegno al Trans-Pacific Partnership (Ttp), l’area di libero scambio che coinvolge tutti quegli Stati che si trovano nella zona dell’Oceano Pacifico.

La ragione della critica nei confronti di questa strategia geopolitica del governo statunitense ai tempi di Obama risiede nella natura multilaterale dell’accordo. Al contrario, l’amministrazione Trump è convinta del fatto che la forma di accordo da dover privilegiare, per un Paese influente come gli Stati Uniti, sia quella bilaterale. In quest’ultimo caso, infatti, è possibile far imporre l’attore internazionale più forte sul più debole.

Quando il contesto è multilaterale, è invece più alta la probabilità che si vengano a creare alleanze tra attori meno influenti che potrebbero minare la supremazia del più forte. È in quest’ottica di contenimento del “pericolo giallo” e di predilezione per gli accordi bilaterali, che va letto l’accordo di 1,3 miliardi di dollari che il segretario di Stato statunitense Rex Tillerson, proprio mentre Trump si trovava a Pechino, ha siglato con l’India. È da ricordare che le relazioni tra Nuova Delhi e la Cina si mantengono sul filo del rasoio. Nel luglio scorso si sono accese le tensioni sull’Himalaya, dove sono stati mobilitati migliaia di soldati indiani con le armi puntate al di là del confine, dove inizia il vasto territorio cinese.

C’è da credere che il medesimo approccio di contenimento il presidente Trump lo avrà anche in Vietnam, nei confronti del presidente russo Vladimir Putin, che incontrerà nel Paese asiatico. La Russia, così come la Cina, viene percepita come una antagonista degli Stati Uniti nello scacchiere geopolitico. E questo, va al di là degli accordi commerciali.

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