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Usa-Canada: la doppia missione di Giorgia Meloni

Giorgia Meloni Abruzzo agricoltori

Foto © Palazzo Chigi

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, oggi varcherà per la seconda volta, a distanza di 7 mesi, il portone della Casa Bianca per il faccia a faccia con Joe Biden. Neppure ventiquattr’ore dopo vedrà a Toronto il primo ministro canadese Justin Trudeau. Una doppia missione che arriva esattamente a una settimana di distanza dal G7 che la premier ha presieduto in videoconferenza da Kiev. L’obiettivo è “condividere” – come sottolineano fonti diplomatiche italiane, enfatizzando l’aspetto della sintonia d’intenti – sia con Biden che con Trudeau (il Canada assumerà la guida del G7 il prossimo anno) le priorità da portare avanti in vista del vertice che si terrà a giugno in Puglia. L’Ucraina, così come la guerra a Gaza continuano ad essere al centro dell’attenzione dei Grandi assieme al tema dello sviluppo dell’Africa (leggasi Piano Mattei), del rafforzamento nell’Indo Pacifico (di cui Meloni ha largamente parlato con il suo omologo Fumio Kishida in occasione della recente visita in Giappone per il passaggio di testimone del G7) e della regolamentazione dell’intelligenza artificiale.

Tutti temi fondamentali nell’agenda dell’Europa e non solo, dai quali dipendono rapporti economici e bilanciamenti politici. Ovviamente i detrattori della premier diranno, se non lo hanno già fatto, che il viaggio negli Stati Uniti fa parte del rito, che è prassi che la presidenza di turno della Ue vada in tour oltre oceano, che si tratta solo di apparenza e non di sostanza. Tutto lecito, ci mancherebbe. In realtà le cose non stanno esattamente così. La Meloni, oltre a rispettare il protocollo previsto dalle liturgie europee, va a trovare Biden per portare nella capitale americana il messaggio di un’Europa pronta a fare la sua parte negli scenari internazionali, sempre più tesi e sull’orlo di una crisi di nervi. E questo non lo prevede il protocollo, ma una visione politica che manca ad una certa opposizione della premier italiana, tanto nel perimetro di casa nostra quanto in quello continentale. Tenere dritta la barra dell’atlantismo non è un esercizio facile, tantomeno fine a se stesso. Del resto la preoccupazione della nostra presidenza del Consiglio, ma anche quella delle altre cancellerie europee, è alta anche perché, rispetto al primo incontro con Biden del luglio scorso, la tensione a livello internazionale è ulteriormente peggiorata a seguito della crisi in Medio Oriente, che peraltro pesa non poco anche sulla campagna elettorale del presidente statunitense.

La Meloni, che nella sua prima visita a luglio aveva avuto incontri anche con i vertici politici sia repubblicani che democratici, stavolta ha preferito circoscrivere la sua missione al solo colloquio con l’inquilino della Casa Bianca. Biden continua a lavorare per raggiungere la tregua ma il rischio escalation resta altissimo. E in questo senso va letto anche l’imminente ritorno in Egitto della Meloni, entro la prima metà di marzo. L’altro fronte caldo, l’Ucraina, non è certo meno preoccupante. Sabato scorso il G7 ha ribadito il pieno sostegno a Kiev e un passo avanti potrebbe realizzarsi sul fronte dell’uso dei fondi russi congelati nelle banche europee, di cui si fa cenno esplicitamente nella dichiarazione finale e su cui resta insistente il pressing statunitense. La Meloni ne parlerà certamente con Biden ma anche con Tredeau visto che il Canada, come la Gran Bretagna e il Giappone, ha la stessa posizione di Washington. La premier ha svolto nella riunione a Kiev un ruolo di mediazione che intende portare avanti ulteriormente. Nessuna apertura invece sull’ipotesi di un coinvolgimento di truppe Nato in Ucraina bocciata sia dagli Stati Uniti che dall’Italia. Proprio l’Alleanza atlantica sarà l’altro grande tema su cui la premier e il presidente Usa si soffermeranno. Ultimo particolare. Nella Capitale statunitense, a luglio, si terrà il prossimo vertice Nato che arriverà giusto a un mese di distanza dal G7 in Puglia e dalle elezioni europee, destinate a incidere fortemente sugli equilibri del Continente e sul fronte interno, mandando in fibrillazione la politica internazionale. In ballo c’è il futuro del Patto anche guardando all’eventuale ascesa di Donald Trump alla Casa Bianca.

Prima però c’è da decidere il successore di Jens Soltenberg a segretario generale, prorogato già di un anno e in scadenza a ottobre. Tra i candidati più forti l’ex premier olandese Mark Rutte con cui la Meloni nell’ultimo anno ha costruito un rapporto forte soprattutto sul fronte della gestione dei flussi migratori provenienti dall’Africa e culminato nella firma del protocollo di Tunisi. Per queste ragioni l’incontro con Biden non sarà affatto una pura formalità ma uno di grande sostanza.

Enrico Paoli: