Uscito di scena il candidato, viva il candidato: è la versione Usa 2024 del motto della monarchia francese, ‘Morto il re, viva il re’. Joe Biden si chiama fuori dalla corsa alla rielezione e indica come candidata democratica la sua vice Kamala Harris, che in poche ore, riceve donazioni per 50 milioni di dollari, ottiene la promessa di voto di oltre mille delegati alla convention di agosto a Chicago e coagula sul suo nome endorsement di peso, dai Clinton a Nancy Pelosi. Manca Barack Obama, che, però, ama restare al di sopra della bagarre.
Donald Trump chiede i danni ai democratici e a Biden. È stato frodato, dice, perché gli hanno fatto credere che avrebbe avuto come avversario un “vecchio” e lui aveva preparato tattica e spot della sua campagna in quell’ottica. E, invece, adesso scopre che avrà un rivale diverso, che neppure si sa ancora chi sia, e dovrà cambiare tattica e spot: un danno anche economico notevole; e un azzardo politico.
Perché quella che pareva una vittoria ormai acquisita diventa una partita aperta. Usa 2024 s’era rapidamente trasformato, dopo il dibattito in tv tra presidente ed ex presidente, in un referendum sulla fragilità di Biden. Adesso, torna ad essere quello che era stato Usa 2020, un referendum contro Trump: chiunque, ma non lui. La corsa è un Gran Premio di Formula Uno dove entra la safety car: le posizioni si compattano, i vantaggi si annullano, bisogna rifare tutto da capo.
E Trump, abituato a ironizzare sulle fragilità del rivale, si ritrova a essere l’”arcivecchio”, cioè il più anziano candidato di un grande partito mai in corsa per la Casa Bianca – e, se eletto, il più anziano presidente a entrare alla Casa Bianca -.
Lo speaker della Camera Mike Johnson rilancia una tesi già sostenuta dal candidato vice JD Vance e afferma che Biden dovrebbe immediatamente dimettersi, in base all’asserto che “se non può fare il presidente per un secondo mandato, non è in grado di farlo neppure ora”. La tesi è del tutto priva di fondamento giuridico e sanitario ed è pura propaganda politica: fare il presidente per altri sei mesi è un conto, farlo per quattro anni e mezzo è un altro; e, poi, Biden, d’ora in poi, potrà concentrarsi sui compiti della presidenza e non dovrà sobbarcarsi le fatiche della campagna elettorale.
Biden ha già chiarito che intende restare in carica fino alla fine del suo mandato. E la Casa Bianca ha subito precisato che la sua decisione non è stata dettata da considerazioni mediche.
L’impressione che le reazioni di Trump e dei suoi sodali lasciano è che i repubblicani preferissero avere Biden come rivale, considerandolo debole e, praticamente, votato alla sconfitta.
Ma se c’è maretta fra i repubblicani, non è che in casa dei democratici tutto fili liscio come l’olio. Harris è ben partita, ma dovrà guadagnarsi la nomination alla convention democratica. Le questioni spinose e aperte sono molte, osservano i media liberal statunitensi: dalla scelta del candidato a come procedere su un territorio largamente inesplorato.
In una lettera postata su X a metà domenica, la sera in Italia, Biden scrive: “E’ stato il più grande onore della mia vita servire come presidente. E anche se era mia intenzione brigare la rielezione, credo che sia nel miglior interesse del mio partito e del Paese di ritirami e di concentrarmi soltanto sui mai compiti come presidente per il resto del mandato”.
Fra i primi prossimi impegni, la visita a Washington del premier israeliano Benyamin Netanyahu: un incontro spinoso, oggi, martedì, seguito dal discorso di Netanyahu in Congresso mercoledì.