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L’urgenza di rimettere mano al cantiere educazione

Il 12 settembre 2019, con il coraggio e lo sguardo lungo del profeta, Papa Francesco ha lanciato la proposta di un “Patto educativo globale”. Il virus ci si è messo di traverso, e il desiderato evento mondiale del maggio 2020 per “ricostruire il patto educativo globale” è stato rinviato.

Ma…non tutto il male vien per nuocere, e il tempo più disteso sta forse consentendo al sogno di Francesco di mettere radici più profonde. L’emergenza sanitaria, peraltro, ha fatto emergere ancor di più l’urgenza di rimettere mano, a tutti i livelli e in tutti i contesti, al cantiere educazione: siamo di fronte a quella che è ormai, come ha detto il Papa nel febbraio di quest’anno al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, “una sorta di catastrofe educativa, davanti alla quale oggi c’è bisogno di una rinnovata stagione di impegno educativo, che coinvolga tutte le componenti di una società”.

Ma ritorno al Messaggio del settembre 2019, dove il Papa sottolineava lo scopo della alleanza educativa da Lui proposta: “Formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna”. E’, ancora una volta, il filo d’oro della fraternità ad essere proposto: per contrastare la logica del mercato, al quale non servono “persone mature”, ma individui isolati e senza mancanze, perché tutto va colmato e tutto può essere comprato. Con le parole di Nietzsche: “Nessun pastore e un solo gregge! Tutti vogliono la stessa cosa, tutti sono uguali: chi sente altrimenti, va da sé al manicomio…C’è la vogliuzza per il giorno e la vogliuzza per la notte: ma sempre badando alla salute”.

Perché libertà e uguaglianza, senza fraternità, sono incapaci di dare pace e letizia alla nostra vita e, in particolare, alla vita dei ragazzi. E inevitabilmente crescono le dipendenze, e “nuove malinconie” (Recalcati) intristiscono sempre di più i nostri adolescenti. “Per questo -continua il Papa- è necessario costruire un “villaggio dell’educazione” dove, nella diversità, si condivida l’impegno di costruire una rete di relazioni umane e aperte. Un proverbio africano dice che “per educare un bambino serve un intero villaggio”. Ma dobbiamo costruirlo, questo villaggio, come condizione per educare. Il terreno va anzitutto bonificato con l’immissione di fraternità, come ho sostenuto nel Documento che ho sottoscritto con il Grande Imam di Al-Azhar ad Abu Dhabi”.

Ed è per contribuire alla costruzione di questo villaggio che il Papa pochi giorni fa, in occasione della Giornata mondiale degli Insegnanti istituita dall’UNESCO, ha voluto incontrare i rappresentanti delle religioni, rilanciando il tema, che gli è caro, della formazione integrale, “che si riassume nel conoscere se stessi, il proprio fratello, il creato e il Trascendente”. Per “educare ogni persona nella sua integralità, cioè testa, mani, cuore e anima. Che si pensi quello che si sente e si fa; che si senta quello che si pensa e si fa; che si faccia quello che si sente e si pensa. L’armonia dell’integrità umana, cioè tutta la bellezza di questa armonia”. E mi viene in mente una parola, che mi è cara, di Sant’Ambrogio: “Raccolti, unificati e in profondità di comunione”.

A me piace “fare strada” con i ragazzi e i giovani (e ho nostalgia di quando -da parroco e insegnante- lo potevo fare di più!). Ma il tempo si è fatto breve: i ragazzi ci stanno chiedendo aiuto, e noi adulti non possiamo far finta di non sentire! Anche perché “non essere figlio di nessuno è il sogno/incubo dell’adolescente: non può uscirne da solo” (Sequeri).

Ecco: vorrei che tutti comprendessimo che educare è tra le forme più alte della carità evangelica. Ma per educare ci vuole fede, e speranza. E consapevolezza che Dio non abbandona i suoi figli. Certo, “l’abbandono del figlio è la vera cifra del dramma culturale dell’epoca iper-moderna, appena incominciata”. Ma “l’abbà-Dio non abbandona la generazione terrena dei figli al suo destino. La nuova evangelizzazione, verosimilmente, incomincia di qui: la Chiesa non si separa dal Figlio, non abbandona i figli. Dovunque siano” (ancora Sequeri). E anche su questo saremo giudicati.

mons. Calogero Marino: