In questo ultimo quarto di secolo si sono sprecati fiumi di parole per descrivere la insoddisfazione degli italiani rispetto al periodo ormai lungo di transizione politica della seconda repubblica incompiuta, e che non assume i caratteri della stabilità e della funzionalità, sospesa com’è in una dimensione che né si sviluppa e né si conclude. Eppure gli italiani furono spinti a sperare in uno nuovo sviluppo della economia e della democrazia che potesse rafforzare ed evolvere gli elementi base che si sprigionarono del primo trentennio repubblicano. Ma trent’anni sono molti e lunghi, ed il risultato è deludente e per certi versi inquietanti, tali da suscitare preoccupazioni e sfiducia che si aggiungono a quelle che normalmente provengono dai forti cambiamenti della rivoluzione digitale e dalla mondializzazione di nuovi poteri.
L’Italia è molto più debole di trent’anni fa: la sua economia è molto esposta a fragilità, come lo sono le sue istituzioni ed il suo sistema politico rappresentativo. L’opinione pubblica e i poteri esteri ci percepiscono decadenti e non capaci di far valere il portato storico dei nostri avanzamenti e del nostro patrimonio di saperi comunque cospicuo. Per uscire da questo persistente corto circuito, sicuramente avremmo bisogno di concentrarci sui nostri principali dossier e raggiungere un’intesa responsabile tra la maggior parte dei soggetti politici e sociali per dare una indicazione di marcia agli italiani. Ma credo che, se non dovessimo superare il trauma procurato dal terremoto che fece crollare la struttura portante del sistema democratico repubblicano che accompagnò la governance italiana fino ai primi anni novanta, difficilmente si potranno ottenere cambiamenti positivi. Un trauma la cui causa in verità è ancora da approfondire nelle dinamiche e finalità perseguite. Insomma il nostro paese se vuole aprire davvero una nuova stagione feconda deve analizzare quei punti di rottura che hanno bloccato il suo cammino; dovrà procedere come se andasse in psicanalisi: deve giungere a verità e togliere ogni velo. Su quali scopi economici e politici, interni ed internazionali, si mossero poteri talmente potenti da trasformare una inchiesta giudiziaria seppur giustificata, in una defenestrazione di tempi moderni di una intera dirigenza politica, sradicando persone e strutture di partiti che avevano contribuito in modo considerevole allo sviluppo democratico ed economico.
E’ un fatto che alla collaborazione della distruzione della classe dirigente parteciparono solo culture politiche vinte dalla storia, incitando i loro riferimenti presenti nei gangli dello Stato e nella società civile a partecipare alle defenestrazioni in corso. Le conseguenze di questo indebolimento della politica le conosciamo: leggi elettorali che hanno ridotto drasticamente l’affluenza al voto, rimpicciolite le rappresentanze, verticalizzati i partiti e resi quasi tutti a carattere personale con l’abolizione del finanziamento pubblico; diffusione della demagogia e populismo; confusione tra soggetti locali e nazionali dello Stato; debito pubblico altissimo, tasse cresciute a dismisura nel trentennio ma non finalizzate ad una buona spesa pubblica. Dunque, se si dovessero ripercorrere le strade che portarono a forzature che pur sembrando giustificate in verità al cospetto dei fatti e della storia sono risultate discutibili e dannose. Si avrà la forza di tornare su quei passi, per separare il giusto dall’ingiusto?