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Una debole speranza di fine pandemia

A che punto siamo: è prossima la fine della pandemia? Il quesito è molto complesso e di ardua soluzione. Molte volte in questi 3 anni abbiamo avuto la sensazione di un declino della pandemia prossimo alla fine e altrettante volte l’auspicio è stato smentito. Perché di fatto fra i vari indici che monitorano l’epidemia, qualcuno è sempre vivo, a rischio di sviluppare una nuova ondata non appena la guardia si abbassa. Ad esempio attualmente i casi in Italia sono estremamente ridotti ma il numero dei morti si mantiene preoccupante, circa 300-500 la settimana, a testimoniare la persistente circolazione dell’infezione e la presenza di un serbatoio ampio di soggetti anziani e/o fragili incompletamente protetti dal vaccino, perché vaccinati incompletamente (senza 3° e 4° dose) o da oltre 6 mesi.

Ma vi è un altro motivo che mantiene viva la pandemia, come brace sotto la cenere. Oggi il mondo è estremamente interconnesso, le comunicazioni sono molteplici e molto veloci, per cui il panorama da tenere sotto controllo è molto più ampio che quello domestico. Non basta guardare alla situazione dell’Italia e neppure dell’Europa ma è doveroso considerare quella di paesi-continenti (il Sud dell’Africa, il Brasile, l’India e la Cina) dove l’epidemia può riaccendersi subitaneamente con l’emergenza di nuove varianti estremamente diffusive e destinate a diventare rapidamente prevalenti. E’ quindi importante esaminare la situazione globalmente e in maniera dinamica: considerare cioè la situazione quale si realizza nelle varie regioni del mondo e nella sua evoluzione recente, ad esempio nell’ultimo mese, con i dati riportati nel bollettino dell’O.M.S. del 1° febbraio 2023.

Per quanto riguarda i nuovi casi, questi restano numerosi in Europa e nelle Americhe, 3 milioni e 800.000 circa in entrambe le regioni, pari al 26% del totale e, rispetto al mese precedente, stabili in Europa e invece aumentati del 75% nelle Americhe. Ma è soprattutto nella regione del Pacifico Occidentale che si assiste a una vera esplosione di nuovi casi: oltre 7 milioni, pari al 48% del globale, con un incremento del 30% rispetto al mese precedente. Nella regione del Sud Est Asiatico al contrario riscontriamo solo 60.000 nuovi casi, pari a meno dell’1%, con una diminuzione del 70%. E analoga situazione vale per il Mediterraneo Orientale e per l’Africa. Per quanto riguarda i singoli paesi, nella graduatoria nell’ultima settimana, prevale il Giappone con 1 milione di nuovi casi e la Corea con circa 500.000, cui seguono gli USA con circa 400.000. Per quanto riguarda i nuovi morti, le Americhe fanno registrare circa 20.000, pari al 40% del totale,  con un aumento del 35%, l’Europa circa 15.000, pari al 39%, stabili rispetto al mese precedente. Segue il Pacifico Occidentale con 11.500 morti, pari al 25% ma con un incremento del 50% rispetto al mese precedente. Cifre sempre inferiori all’1% si riscontrano nel Mediterraneo Orientale e in Africa. Rifacendoci ai singoli paesi, il Giappone si inserisce fra gli USA e il Brasile con 2.000 nuovi morti nell’ultima settimana. Spunta finalmente la Cina in queste classifiche ma la Cina merita un discorso a parte.

In Cina tutto è iniziato e probabilmente la Cina, con 1 miliardo e 400 milioni di abitanti, resta il serbatoio da cui la pandemia minaccia tuttora di ripartire. Inizialmente l’annuncio all’O.M.S. dell’emergenza epidemica è stato dato con colpevole ritardo: la reticenza, motivata politicamente, ha dato tempo all’epidemia di trasformarsi in pandemia cogliendo impreparato il resto del mondo. Poi, quando ha dovuto ammettere il divampare dell’incendio, la Cina ha adottato una strategia “zero Covid”, attuando draconiane misure di lockdown e di totale chiusura dei viaggi domestici e internazionali. Ordinare la chiusura in casa a metropoli di decine di milioni di abitanti e ordinare il blocco dei porti e degli aeroporti ha comportato una drastica caduta del PIL e, per la estrema rigidità dei provvedimenti, il malcontento fino a momenti di rivolta della popolazione. E tuttavia queste misure sono state mantenute per oltre 2 anni, fino all’autunno del 2022. Nel contempo si è prodotto un vaccino autarchico, meno efficace di quello a m-RNA occidentale, e avviata una campagna vaccinale diretta non ai soggetti anziani e fragili ma ai soggetti in età lavorativa, in maniera che fossero pronti a riprendere le attività e riavviare prontamente l’economia.

L’arrivo di una variante virale, Omicron, nettamente più diffusiva non solo della variante originale, ma anche delle varianti alfa e delta, con indice di diffusione (Ro) superiore a quella dei virus più diffusivi, persino di morbillo e varicella, ha travolto gli argini dello “zero Covid” e drammaticamente cambiato lo scenario. Il brusco abbandono delle misure restrittive ha fatto sì che il nuovo virus diffondesse rapidamente trovando una popolazione largamente non protetta: si calcola che solo il 40% dei soggetti fragili abbia ricevuto la 3° dose e comunque una affannosa campagna di vaccinazione è stata adottata con l’uso di un vaccino efficace al 50% rispetto al nostro a m-RNA che, pur offerto gratis, è stato sdegnosamente rifiutato. Questo scenario da reale “dittatura sanitaria” è molto preoccupante: tuttora la Cina fornisce dati non affidabili, estremamente sottostimati e protesta contro l’Occidente che decide di controllare i viaggiatori cinesi. Invece è giusto testare chi proviene dalla Cina, non nell’obiettivo illusorio di fermare il contagio ma semplicemente per verificare la composizione genomica dei ceppi virali e essere avvertiti sull’emergenza possibile di varianti capaci di evadere la protezione anticorpale conferita dai nostri vaccini.

I dati ufficiali forniti dall’O.M.S. con il bollettino del 1° febbraio 2023, denunciano una pandemia in piena espansione a livello globale: cumulativamente i casi sono passati da 660 milioni a 750 milioni e i morti da 6 milioni e 700.000 a 6 milioni e 800.000; nell’ultimo mese i nuovi casi sono passati da 14 milioni e 500.000 a 20 milioni e i nuovi morti da 46.600 a 115.000, registrando fondamentalmente l’esplosione di casi della regione del Pacifico Occidentale avvenute rispettivamente nel dicembre 2022. Dal mese di gennaio, la Cina guida la classifica dei nuovi casi con 11 milioni e 350.000 e anche dei nuovi morti con 63.000, in decremento i primi dell’85% e i nuovi morti in incremento del 245%, testimoniando il decalage cronologico fra tempi dell’infezione e dell’esito infausto. Un dato confortante a livello globale è che, rispetto al mese di dicembre, i nuovi casi sono in decremento in tutte le regioni dell’O.M.S. così come i nuovi morti eccetto appunto che nella regione del Pacifico Occidentale dove si registra ancora un incremento del 170% sostenuto da Cina e Giappone. Dobbiamo temere una “nuova ondata” nel mese di febbraio a seguito dei tradizionali viaggi di milioni di persone, in occasione del capodanno lunare cinese?

In conclusione, non ci sentiamo autorizzati all’ottimismo anche se, forse, si affaccia una debole speranza di fine pandemia. Che lascerà comunque strascichi: il long covid, una sindrome che interessa una percentuale importante dei pazienti che hanno avuto il Covid (specie gli adolescenti che hanno avuto la malattia grave) di cui dovremo valutare appieno l’impatto nei prossimi anni.

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