Poco più di vent’anni fa (23 per la precisione) la politica italiana fu scossa da un evento epocale. A Fiuggi, località termale alle porte di Roma usata dai partiti per celebrare le proprie liturgie congressuali, andò in scena la famosa “svolta di Fiuggi”. Il Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale abbandonò i riferimenti ideologici al Fascismo, volendo qualificarsi come forza politica legittimata a governare, facendo nascere Alleanza nazionale. A eseguire il parto fu Gianfranco Fini, che decise di “uscire dalla casa del padre”.
Un passaggio storico, quello di Fiuggi, di cui oggi c’è traccia solo nelle cronache politiche dei giornali, ma non nelle Aule parlamentari. Dei protagonisti di quella esperienza solo pochi sono ancora piena in attività. Molti sono stati superati da quella stessa storia che avrebbero voluto scrivere. Da un evento epocale a un fallimento universale il passo non è affatto breve. Eppure i seguaci di Fini ci sono riusciti. Ecco, osservando il dibattito, se tale si può chiamare assomigliando il fraseggio fra i leader e leaderini ad un incontro di boxe, interno al Pd il caso di Fiuggi torna necessariamente alla mente. Per due ragioni. Il Pd, erede di mille sigle precedenti (Pci, Pds, Ds) e frutto di una fusione a freddo (quella con la Margherita di Rutelli ), di Fiuggi ne ha già vissute diverse. Una su tutte la svolta della Bolognina, quando Occhetto staccò la spina da Mosca.
Un distacco pesante, doloroso, ma necessario. Come quello di Fini. Solo che il Pds, che nasceva dalle ceneri del Pci, aveva gambe per correre. Alleanza nazionale, la creatura di Fini, solo braccia per disegnare nell’aria ampi cerchi senza mai indicare una direzione. Dunque il partito di Renzi e Martina, Orfini e Franceschini, Calenda e Minniti, Gentiloni e Boschi, ha solo bisogno di cambiare nome, rispondendo alla logica del marketing con un’operazione trasformista, oppure necessita di un reset completo, di un azzeramento totale in modo da avere una pagina bianca sulla quale scrivere programmi e idee? E, soprattutto, l’elettorato comprende tali necessità? La sensazione, forte, è che tutto il chiacchiericcio di questi giorni sia solo un dialogo fra comari, un bisticcio mediatico per stare in vetrina.
Di reale, di concreto, ci sono solo i sondaggi che relegano il Nazareno ai minimi storici. Risalire la china, con rimmel e rossetto, è difficile. Se non assurdo. Figuriamoci con cene in terrazza e Leopolde 4.0. Prendete Calenda, quello uscito dal ministero per entrare al Nazareno. Ecco, per lui, serve lo stile romano per risolvere tutto, tipo “se famo du spaghi” in terrazza, a cena. “Sì. Ma la data è stata spostata”, ha risposto l’ex ministro su Twitter a chi gli ha chiesto del famoso incontro a tavola, “e per evitare l'ennesimo tormentone sul Pd rimane riservata. Sono molto contento è un gesto di responsabilità di tutti i partecipanti. Bene così. Ottima notizia”. Gli invitati, come è noto, sono Paolo Gentiloni, Matteo Renzi e Marco Minniti. L’ex rottamatore, dal canto suo, sostiene di aver “girato molto in questi giorni alle feste del Pd. E ho visto un popolo che ha voglia di reagire. Che non si rassegna. Bene!” . “Do appuntamento alla Stazione Leopolda, il prossimo 19, 20, 21 ottobre. Non voglio anticipare nulla ma stavolta usciremo con qualcosa di diverso dal solito. E chiedo di venire con particolare insistenza ai mondi dell'associazionismo, del terzo settore, della cultura, dell'economia oltre che – come già fatto – agli amministratori locali e ai giovanissimi. Ritorno al Futuro, siete pronti?”. L’assise fornirà la risposta.
Un fatto, intanto, è certo. Due mondi così, il caminetto di Calenda e la folla ocenanica di Renzi, possono convivere? Sono le due facce della stessa medaglia o mondi paralleli? Il tenero Nicola Zingaretti – assomigliando sempre più al personaggio della settimana Enigmistica, (il tenero Giacomo) – volendo essere il terzo protagonista in campo ha ironizzato sostenendo di aver organizzato per la prossima settimana “una cena in trattoria con un imprenditore del Mezzogiorno di una piccola azienda, un operaio, un amministratore impegnato nella legalità, un membro di un’associazione in prima fila sulla solidarietà, un giovane professionista a capo di una azienda Start Up, una studentessa ed un professore di Liceo”. Beh, questo Pd più che una svolta di Fiuggi (o cura a Fiuggi) avrebbe bisogno di un altra Livorno, quando i delegati della frazione comunista uscirono dal Teatro Goldoni al canto dell’Internazionale e si recarono a svolgere il Congresso fondativo del Partito comunista al Teatro San Marco. Era il 1921, ma sembra oggi. In fondo se Bennato diceva che erano solo canzonette, queste camarille sono solo barzellette…..