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Un Pd senza “direzione”

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Forse non è solo una semplice difficoltà nel formare un governo. Forse siamo di fronte a qualcosa di nuovo. Forse, ed è questo il dubbio vero, ci troviamo nel bel mezzo di una crisi strutturale del sistema. Ad una sorta di crash, senza test, della politica italiana. Dove, a saltare, non sono tanto gli schemi quanto i ragionamenti proposti dai nuovi e vecchi leader. Come se fossero spariti gli spartiti, e tutti stessero suonando a caso. Il risultato, più che un coro di stecche, è una vera una distonia, di rara intensità.

Sostengono i renziani, fedelissimi alla linea dettata da Matteo Renzi in tv nel tentativo di bruciare la direzione del Pd nella quale l’ex premier potrebbe ritrovarsi a dover ingollare l’amaro boccone di un’altra sconfitta che “Martina ha sbagliato. Ha cercato la sponda del Movimento 5 stelle senza tener conto di Renzi. Ora gli ha ridato in mano il partito”. Un ragionamento apparentemente lineare, in realtà viziato nella forma e nel modo.

La direzione del Pd è convocata per giovedì alle 15, ma il forno con i pentastellati è già spento. Renzi ha voluto stoppare qualsiasi discussione rendendo, di fatto, da questo punto di vista inutile l’incontro al Nazareno. Ma è logico così oppure la debolezza se ne infischia delle regole, quando lui, da segretario, le invocava ogni tre per due? Martina, ovviamente, non si aspettava toni così aspri e soprattutto in tv. Da qui la durissima nota: “E' impossibile guidare un partito in queste condizioni”. Forse il caos è proprio quello che vuole Renzi. L’ordine del giorno della direzione cambia per ammissione dello stesso reggente del Pd che “per rispetto della nostra comunità” (quale? Ne esiste ancora una?) evita di fare commenti dopo le affermazioni di Renzi da Fazio ma fa capire qual è il motivo del contendere: “Per quanto mi riguarda la collegialità è sempre un valore, non un problema”. Dunque chiederà “una discussione franca e senza equivoci”, un chiarimento non solo sulla linea che il Pd deve portare avanti (“Il Pd rischia l’estinzione”, ha sottolineato) ma soprattutto su chi debba guidarlo realmente. Tanto che la direzione dovrebbe convocare al più presto l'assemblea. Anche per cercare di evitare dolorose spaccature.

Se Martina dovesse fare un passo indietro si pensa ad una figura di mediazione per affiancare Orfini nel percorso prima dell'appuntamento che potrebbe aprire la fase congressuale. “A questo punto”,  spiega più di un renziano, “Martina non può più esercitare il ruolo di reggente, occorre cambiare”. Ma può un partito ridotto così pensare davvero al governo quando il tema da svolgere è la faida interna? Francamente appare difficile vedere il Pd destarsi da questa distonia, da questa cacofonia che rischia di ridurre tutto a beghe di cortile. Tanto che l’ironia di Orfini appare fuori luogo e fuori tempo: “Secondo Di Maio la paralisi politica è dovuta ai partiti che pensano solo 'al proprio orticello e alle poltrone'. Finalmente una sincera autocritica”. Beh stavolta la battuta gli è venuta male, ma proprio male. Perché se c’è un partito in seria difficoltà, questo è proprio il suo. C

erto, i 5 Stelle non sono al massimo nemmeno loro, se sono costretti ad invocare il classico “bomba libera tutti”. “Non c’è altra soluzione, bisogna tornare al voto il prima possibile, poi ovviamente deciderà il presidente Mattarella”, sostiene il leader del M5S, Luigi Di Maio. “Tutti parlano di inserire un ballottaggio nel sistema elettorale, ma il ballottaggio sono le prossime elezioni quindi io dico a Salvini, andiamo insieme a chiedere di andare a votare e facciamo questo secondo turno a giugno. Facciamo scegliere i cittadini tra rivoluzione e restaurazione”.

Più che una strategia, un’altra bugia per mascherare gli errori. Tornare al voto con questa legge elettorale sarebbe un danno per tutti, oltre che una beffa. Dunque quello di Di Maio sembra solo un escamotage e non una vera strategia politica. Perché dietro a tutto questo c’è comunque il rapporto con la Lega di Salvini, arrivata ad un bivio: governo di minoranza del centrodestra o voto anticipato? Dopo l’exploit del Friuli Venezia Giulia il “Capitano” deve decidere cosa fare: se provare a formare, in veste di candidato premier della coalizione vincente, un esecutivo ponte con Fi-Fdi e il “soccorso” di tutte le forze responsabili (compreso il Pd se necessario) per approvare due-tre provvedimenti urgenti per poi andare al voto a ottobre come vuole Silvio Berlusconi o scegliere la strada del ritorno alle urne, già a giugno, come chiede Luigi Di Maio, rischiando così di rompere l'alleanza con l'ex Cav.  Scelta non facile, tanto che dal risultato della direzione del Pd potrebbe uscire qualche indicazione anche per il Carroccio. Sempre che una direzione del Pd esista ancora…..

Enrico Paoli: