Le storie condivise sui social con l’hashtag #quellavoltache fanno davvero riflettere sul dolore e la rabbia di tante donne molestate, aggredite, umiliate. Sono testimonianze terribili, un flusso ininterrotto al quale è impossibile restare indifferenti e non prendere una posizione netta. Secondo l’Istat i ricatti sessuali sul lavoro sono un’orribile realtà anche nel nostro Paese. Colpiscono tantissime donne, più di un milione li ha subiti nel corso della vita, quando cercavano lavoro, quando volevano fare carriera o semplicemente svolgevano la propria attività. Ma questa è solo la punta di un iceberg. Sono più di 7 milioni le donne italiane che nel corso della propria vita hanno subito una forma di violenza o abuso. Parliamo di quattromila casi ogni anno tra stupri e tentati stupri, una media di undici al giorno.
Sono numeri impressionanti. Discriminazioni, autoritarismo, violenza ed odio nei confronti delle donne non sono il passato, ma dominano il nostro presente e fanno regredire la nostra democrazia. Possiamo continuare a far finta di niente? Ecco perché quest’anno, il 25 novembre, la Giornata mondiale contro la violenza alle donne, non può essere solo un momento rituale di denuncia: deve segnare l’inizio di una alleanza tra le istituzioni, la società civile, le associazioni cattoliche e laiche, la scuola e l’università, il mondo dell’informazione, della cultura e dello sport, verso questa che è diventata una vera e propria emergenza nel nostro Paese.
Non è una battaglia di destra o di sinistra, o dei movimenti di emancipazione femminile. Qualcuno, spesso, invita a non fare drammi: come dire, sarebbe bello che certe cose non accadessero, ma le vere tragedie sono altre. Questo è un atteggiamento assolutorio. Ipocrita. Dovrebbe far parte della cultura civica di un Paese avanzato e moderno come l’Italia, fin dai primi anni dell’infanzia, spiegare che il rispetto delle donne è il fondamento di una comunità. Per questo occorre una mobilitazione delle coscienze per dire basta con i femminicidi, basta con il maltrattare ed umiliare la donna tra le mura domestiche e nei luoghi di lavoro, come avviene nelle campagne del nostro Sud a tante braccianti italiane e straniere.
Basta con la schiavitù di tante ragazzine stuprate e costrette a prostituirsi sotto le nostre case e lungo le arterie delle nostre città nell’indifferenza delle istituzioni. Anche questa violenza è una forma incivile di sfruttamento della peggior specie. Ci sono centomila donne vittime della “tratta” costrette a vendere il loro corpo nel nostro Paese. Ha fatto bene il comune di Firenze che ha deciso di multare i clienti delle prostitute per aiutare tante ragazze a denunciare i propri aguzzini. Dovrebbe essere un esempio da seguire. In tanti Paesi del Nord Europa dove è stata introdotta una legge che punisce il cliente il numero di prostitute è diminuito in maniera sensibile. Ed è cambiata anche l’opinione pubblica: prima il 30% era a favore della criminalizzazione del cliente, oggi il 70.
La libertà sessuale di andare con le prostitute è esercitata nei confronti di chi non è una donna libera e non ha scelta. Per questo abbiamo deciso di sostenere come Cisl la campagna promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da Don Benzi per aiutare tante giovani ragazze a ritrovare una vita normale ed un lavoro dignitoso. In Parlamento è in discussione una legge che punisce i clienti: chi va con una prostituta deve pagare come chi la sfrutta. Pensiamo che bisogna fare ogni sforzo per risolvere questo problema. Così come il Parlamento deve correggere presto anche la norma sulla “monetizzazione” del reato di stalking che è una vera assurdità. Ma bisogna fare di più.
Anche i mass media, la televisione pubblica e privata, tutte le espressioni culturalidevono fare la loro parte, stigmatizzando il linguaggio violento dei social, le immagini offensive ed i comportamenti lesivi della dignità delle donne. Ed il mondo del lavoro deve scendere in campo unito, contrattando, come stanno facendo tante categorie, migliori condizioni per le donne lavoratrici, per il sostegno alla maternità ed al lavoro di cura, ai centri di ascolto, agli asili nido, all’assistenza sanitaria integrativa, perché spesso la violenza si annida nelle frustrazioni dei luoghi di lavoro, nel divario di genere sempre più presente, dove le discriminazioni, il mobbing ed il sessismo sono spesso l’anticamera di fenomeni molto gravi.
La Cisl è impegnata anche su questo fronte. La missione di un sindacato è anche questa. Come ci ha chiesto Papa Francesco, è stare vicini agli ultimi, alle persone più vulnerabili. È prenderle per mano e battersi al loro fianco. Insieme a tutte le forze sane del Paese.