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Un infaticabile apostolo della carità

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Il Gesù di don Oreste era una persona viva. Lui ci diceva sempre che Cristo non era un’ideologia, una filosofia, ma una persona vivente con la quale dovevamo entrare in relazione come innamorati che si cercano; ci invitava ad essere “non facchini di Cristo, ma innamorati di Cristo”. Ci indicava tutta una vita interiore fatta di relazione, di passar parola con Cristo sulle situazioni quotidiane della vita, sull’incontro con i poveri. Cristo veramente era il centro del suo cuore e lui voleva che diventasse il cuore del mondo. Quando arrivava dai suoi viaggi, il primo saluto era a Gesù eucarestia davanti al quale si prostrava come un viandante stanco ma gioioso.

È così, la sua passione era Cristo. E quindi la sua spiritualità era questa relazione viva con Gesù, povero servo sofferente, che prende su di sè i peccati del mondo, le sofferenze dei piccoli, dei poveri. Lui viveva veramente questa unione intima con Gesù, uno stare a cuore a cuore con Gesù. Ed era la sua forza, per poi andare in tutto il mondo, nelle varie realtà anche di frontiera, nelle discoteche, sulla strada, nell’incontrare i giovani là dove sono Il suo cuore era totalmente trasparente e la sua spiritualità si evidenziava in un sorriso che conquistava tutti, anche i nemici: anche chi non era d’accordo con lui veniva conquistato da questa genuinità, da questa purezza di cuore. Ma soprattutto i giovani erano conquistati dalla sua semplicità disarmante, autentica e gioiosa.

Lui ci ha insegnato che tutto è grazia, tutto è guidato dalla sapienza e dalla provvidenza di Dio, quindi anche le ostilità, anche le difficoltà, le contrarietà rientrano nel disegno, nella pedagogia di Dio. Anzi, Dio ci forma, ci forgia il carattere spirituale, l’identità spirituale. Anche il carisma della Comunità Papa Giovanni veniva forgiato da queste contraddizioni. Lui aveva un cuore sacerdotale, una grande tenerezza e misericordia, sapeva andare incontro alle persone e sapeva soprattutto valorizzare la parte positiva della persona. Quindi chi lo incontrava faceva emergere il bene che c’era in lui.
Questo senza trascurare il male che va – come ha detto anche lui – non accomodato, ma eliminato alla radice. Le sue battaglie a fianco dei più poveri sono sempre state un non andare a braccietto con i violenti.

Lui era come infuocato dall’amore alla Chiesa di Cristo, diceva: “La Chiesa cattolica è l’unica vera Chiesa di Cristo, ed è il popolo santo di Dio, che deve avere una sua identità e deve annunciare Cristo come popolo”. Cioè: da come vi amerete, sapranno che siete miei discepoli. In questo popolo le membra più deboli sono le più necessarie, come dice bene san Paolo nelle sue lettere. Quindi lui evidenziava questo amore grande alla Chiesa di Cristo, anche ai pastori della Chiesa, con i quali aveva un rapporto bellissimo, di confidenza, ma anche di estrema obbedienza. Anche nelle sue scelte più coraggiose, più di frontiera, lui diceva che l’ultima parola spettava ai pastori, nel discernimento. Però bisogna agire come popolo, in cui le membra più deboli – quindi i bambini con gravi handicap, i malati di mente, le ragazze di strada, non sono solo oggetto di assistenza, ma sono protagonisti della storia della Chiesa.

Lui era in continua relazione con i non credenti, perché diceva che non esiste nessun ateo, ma solo delle persone che possono avere dei problemi con Dio; e quindi dialogava continuamente. Una delle sue caratteristiche principali era la grande umanità, la ricchezza umana di saper incontrare e di saper proporre un incontro simpatico con Cristo soprattutto ai giovani, agli adolescenti che nella fase evolutiva sono in cerca, si fanno le domande sul senso della vita, sull’apertura all’infinito. Diceva che dentro ognuno c’è questa scintilla che il buon Dio ha messo e che bisogna solo far emergere; nessuno è contro Dio, ma bisogna fargli incontrare il Dio di Gesù Cristo, il Dio che ci ama.

Don Oreste citava sempre Giobbe: “Se da Dio accettiamo il bene, perché non accettiamo il male?”. L’unico male che c’è, diceva, è il peccato. Tutto il resto in questa vita terrena rappresenta gli atti d’infinita misericordia di Dio nei nostri confronti; anche ciò che è un’apparente disordine, diceva, diventa un infinito ordine, tutto cioè rientra nell’amore di Dio. L’unica cosa che dobbiamo rifuggire è il peccato.

Tanto era accogliente, tanto era fermo nei principi di fedeltà a Cristo, alla dottrina, alla tradizione della Chiesa. La sua era una voce soprattutto in difesa della verità, verità riferita sì alla dottrina, ma anche alla vita sociale. Non si inchinava di fronte ai potenti, ma anche nella solitudine gridava come una voce nel deserto.

Ci diceva negli ultimi tempi che quando sarebbe salito al Padre celeste non sarebbe stato fermo e non ci avrebbe lasciato in pace. Realmente il “ don” è molto presente al punto che possiamo invocarlo ogni volta che lo riteniamo. E ancora ci porterà a Cristo.

Paolo Ramonda: