Una cosa è certa. Dopo questa tornata elettorale la formula scelta dal centrosinistra, “sono elezioni regionali, con nessuna valenza nazionale”, per esorcizzare il voto umbro dovrà essere archiviata una volta per tutte. Non ha mai portato bene a nessuno (destra, sinistra, centro) e soprattutto è l’indice perfetto della debolezza di chi la pronuncia. La rachiticità stessa della forma verbale è un elemento che non depone a suo favore. E dunque, sia il Movimento 5 stelle che il premier, Giuseppe Conte, che dell’anemica formula verbale hanno fatto largo uso, dovranno rivedere molti dei loro piani. Il voto dell’Umbria non conta ma si pesa. E il peso specifico del risultato umbro, che consegna al centrodestra un consistente malloppo di voti, avrà serie ripercussioni sulla vitalità del governo guidato dal premier Conte e sulla tenuta della maggioranza giallorossa.
Con uno scarto di almeno 20 punti percentuali di differenza, non è possibile scindere quanto affermato dagli umbri con il loro voto dai destini della strana coalizione giallorossa. Certo, il capo politico del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, andrà dicendo che il rapporto non proprio felice con il Pd non sarà duplicato in altre competizioni regionali, mentre il matrimonio romano è un'altra cosa. Ma questo non significa affatto che i grillini non siano in grande difficoltà su più fronti, con evidenti scollature all’interno del Movimento stesso. La stessa leadership di Di Maio inizia ad essere una questione seria. E’ po’ come se i pentastellati avessero perso loro tocco magico e il capo la bacchetta fatata. I trucchi non riescono più, figuriamoci le magie. Il cono d’ombra entro dentro al quale rischia di finire colui che ha saputo mandare fuori pista Di Battista e Fico, parcheggiato sullo scranno più alto della Camera, potrebbe essere fatale tanto per il governo quanto per il Movimento. Ed è del tutto evidente che, arrivati a questo punto, tanto Casaleggio quanto Grillo, dovranno fare una profonda analisi del voto umbro e dei suoi devastanti effetti.
E, per contrasto, le cose non vanno certo meglio in casa Pd. Il partito di Zingaretti ha investito molto sull’Umbria, avendo sulle spalle il peso di una stagione politica finita con inchieste e dimissioni. La foto di Narni, con tutti i leader dei centrosinistra, ha fatto più danni di quella di Vasto. E questo dice chiaramente come molti elettori dem abbiamo scelto il Carroccio di Salvini per uscire dalla palude in cui erano finiti. In Umbria, più che del centrodestra, è legittimo parlare di grande successo della Lega, capace di riprendere il filo del discorso con gli elettori, andatosi sfilacciando dopo la crisi di governo e il divorzio con i 5 stelle. Dunque il vento è cambiato oppure le vele salviniane non si sono mai davvero sgonfiate? Difficile dirlo. Di sicuro c’è che le alchimie politiche del Pd e le giravolte dei 5 Stelle, capaci solo di seguire la stella polare del trasformismo in nome e per conto delle convenienze, sono una moneta che non da interessi. Del resto il fatto che Matteo Renzi si sia tenuto ben lontano da questa tornata elettorale, per molteplici ragioni che vanno ben al di là della scissione, la dice lunga sulla consistenza della formula giallorossa. Troppe le distanze fra dem e grillini per non apparire per quello che sono, ovvero un’associazione temporanea d’impresa senza un chiaro progetto attorno al quale ritrovarsi per costruire qualcosa. In Umbria non si è giocato una partita amatoriale ma un match di prima categoria. E ora sarà bene che il governo, e la maggioranza che lo sostiene, inizino a dare risposte chiare al Paese e non formulette ad effetto. Con la postilla salvo intese. In Umbria le intese ci sono state, eccome.