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Tutto il meglio e tutto il peggio che abbiamo dentro

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Sulla dura prova collettiva e individuale del Covid trovo illuminanti le parole di un amico, il valente scienziato statunitense Ron Kennedy. Negli anni Ottanta, quando imperversava l’epidemia di Aids disse: “Questa epidemia, come tutte le altre che l’hanno preceduta e che seguiranno, fanno uscire tutto il meglio e tutto il peggio che abbiamo dentro“. E così anche per il Covid-19. Ogni pandemia si caratterizza per qualche aspetto peculiare dal punto di vista medico: la spagnola era particolarmente letale nei giovani, Covid-19 si è dimostrata molto più grave nei soggetti anziani (specie se istituzionalizzati) tanto da far dire ad alcuni, forse con troppa enfasi, come in questo anno e mezzo sia scomparsa in Europa e negli Usa un’intera generazione di anziani, e con loro un grande patrimonio di esperienza.

Al di fuori di ogni retorica, tuttavia, ritengo che quanto successo debba indurre una riflessione seria sul rapporto tra ospedale e medicina del territorio. Il peso che alcuni hanno dovuto sostenere nel corso di questa pandemia è stata molto dura; pensiamo all’immagine che ha colpito di più in Italia durante la fase più drammatica dell’emergenza sanitaria, quella dei camion militari che trasportavano le salme da Bergamo e da Brescia perché fossero cremate, non essendo più possibile farlo in quelle città in considerazione del grande numero. In questo la pandemia Covid-19 del terzo millennio non si è dimostrata diversa dalle epidemie di peste medievali e seicentesche, quando al culmine della diffusione si procedeva alla cremazione dei cadaveri come “extrema ratio” con l’intento di ridurre i rischi del contagio senza provvedere alla loro sepoltura: evento eccezionale per quei tempi, considerando che la Chiesa proibiva questa pratica.

Non può essere dimenticato l’esempio di straordinario impegno che medici, infermieri e in generale operatori sanitari hanno dato in questi mesi tanto da essere eletti a “eroi”, definizione che tutti hanno rifiutato, considerando tale impegno semplicemente “dovere”. Non meno significativo è stato il ruolo dei sacerdoti, che hanno sempre portato conforto a chi si trovava nella sofferenza. Sappiamo, del resto, come operatori sanitari e sacerdoti abbiano pagato un pesante tributo in termini di vite umane per Covid-19, a testimonianza di quanto grande e disinteressato sia stato il loro impegno. E ora?

Quella attuale della scuola credo sia una ripartenza in sicurezza. E’ stato messo in campo il possibile: scaglionamenti, mascherina, vaccinazione del personale scolastico. Ma fare previsioni non è possibile. Si combatterà tutto l’anno. E’ possibile che nelle prossime settimane, non solo per le scuole ma in generale per le riaperture, possa esserci aumento contagi per variante delta. Ma se guardiamo ai prossimi nove mesi in prospettiva credo che, se si raggiungeranno gli obiettivi di campagna vaccinale e si incrementerà la percentuale di vaccinati tra 12 e 19 anni e se vi fosse la possibilità di vaccinare i più piccoli, cosa che dagli studi prodotti in queste settimane sembra dietro l’angolo, si può guardare con una certa serenità. Quanto agli studenti universitari, con una didattica distanza ben fatta non c’è un vuoto formativo, almeno in molte discipline.

Prof. Roberto Cauda: