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Transizioni ecologica ed energetica: urgente lavorare su un piano culturale

L’obiettivo dello sviluppo sostenibile rappresenta un potente stimolo per l’elaborazione di nuove strategie politiche ed economiche. L’impegno che molte persone e molte organizzazioni stanno mettendo negli ultimi anni per definire possibili percorsi è un fattore positivo per la società. Vale per tutti la strategia della UE definita nel Green Deal, che ha come riflesso le numerose misure prese, dal Next Generation UE al Fit For 55.

Un primo risultato di questo processo è la crescita di consapevolezza dei lavoratori e dei cittadini che rappresenta una condizione fondamentale per avere il necessario consenso ad attuare le misure che possano portarci verso la sostenibilità. Per favorire le ineludibili transizioni, da quella ecologica a quella energetica serve un approccio sistemico che coinvolga tutti, dalle istituzioni, ai soggetti del sociale, alle imprese, alle singole persone.

Ecco allora che nelle scelte che dobbiamo fare va tenuta presente la necessità di una sincronizzazione degli interventi, affinché non vi siano ricadute negative sulle persone in generale, sulle lavoratrici i lavoratori e sul sistema economico-sociale nel suo insieme.

La riflessione e il lavoro congiunto dei molti soggetti vanno definiti quanto prima, senza schemi ideologici. Siamo in un momento storico dove ci deve guidare il principio di neutralità tecnologica, perché molte soluzioni tecnologiche di cui si parla o in cui si spera non sono ancora disponibili immediatamente e su larga scala. Vista l’urgenza che ci impongono gli obiettivi al 2030 e al 2050 il dibattito contro o pro alcune tecnologie ci sembra fuorviante.

Sarebbe meglio adottare il principio delle BAT (Best Available Technologies), cioè delle migliori tecnologie ad oggi disponibili, per raggiungere quanto prima gli obiettivi di decarbonizzazione. Se è fondamentale incrementare l’energia prodotta dalle fonti rinnovabili, rimane importante economicamente e politicamente mantenere un mix di fonti energetiche, che ha risvolti in termini geopolitici e di sicurezza degli approvvigionamenti. Per quanto dobbiamo accelerare nel ridurre l’utilizzo delle fonti fossili, non possiamo essere ricattabili per le importazioni del gas naturale, semplicemente, perché non vogliamo sfruttare i giacimenti italiani e/o quelli scoperti nel Mediterraneo, che nel frattempo vengono utilizzati dagli altri concorrenti, perforando di fronte casa nostra.

Non si vuole rallentare le transizioni, che sono ineludibili, ma occorre creare il necessario consenso affinché non si ripetano le proteste dei Gilet Gialli, contrari all’aumento dei costi dei carburanti, per favorire l’acquisto di auto elettriche con benefit che sarebbero andati ai più abbienti i quali possono spendere dai 30.000 € in su per un’automobile.

Nell’indicazione dello stop dal 2035 alla vendita di auto con motore endotermico, va tenuto presente l’impatto delle auto elettriche in termini ambientali complessivi, lungo tutto l’arco della loro vita, perché se noi acquistiamo i minerali che servono per le batterie da miniere dove predomina il lavoro minorile e non vi è nessun limite ambientale, oppure, come avviene in Cina, l’energia per le auto elettriche è prodotta da centrali a carbone è come se girassimo la testa dall’altra parte. Se le nostre auto diesel o benzina fra cinque anni inquinassero meno di oggi ed i materiali per la loro costruzione provenissero da filiere di economia circolare, una riflessione occorre farla nel paragonare quali autoveicoli hanno meno impatto ambientale.

L’economia circolare è un altro tema fondamentale per le transizioni, a cominciare, dalla gestione dei nostri rifiuti che non possiamo continuare a mandare in giro per l’Italia e l’Europa per non aver costruito, laddove necessari, gli impianti di trattamento come i termovalorizzatori per chiudere il loro ciclo e ridurre ai minimi termini l’uso delle discariche, come prevede la normativa europea.

Le questioni ambientali e le transizioni hanno una dimensione mondiale che va tenuta sempre presente. Le discussioni e le conclusioni della COP26 di Glasgow vanno però lette in chiave globale. Paesi che non hanno mai conosciuto il benessere occidentale hanno paura di vederselo negare perché costretti a rispettare i limiti ambientali. La pessima redistribuzione delle risorse e delle ricchezze, aggravatasi negli ultimi anni, è un fattore determinante nell’aumentare le difficoltà di accettazione delle scelte che impongono le transizioni, in particolare quelle ecologica ed energetica.

Occorre rendere sempre più chiaro alle persone, specialmente in occidente, che va cambiato il proprio stile di vita, questo è un passaggio molto complicato, perché mette in discussione i nostri modelli di produzione legati al consumismo. Lungi dall’avere un approccio pauperistico o pensare a soluzioni come la “decrescita felice” è evidente che l’impatto delle transizioni sulla nostra vita quotidiana sarà molto forte.

Risulta urgente lavorare sul piano culturale, per rendere sempre più coscienti le persone della necessità di accompagnare le transizioni con il cambiamento degli stili di vita, evitando che lo si viva come un impoverimento.

Occorre fare scelte razionali e di qualità, che tengano presenti numerosi fattori, che mantengano un sano equilibrio tra opportunità e rinunce, tra cambiamenti e innovazioni. “Avanti, ma con giudizio” si diceva nei Promessi Sposi. Sia chiaro però che non deve essere un alibi per rallentare, bensì il “giudizio” va utilizzato per rendere inclusiva e cosciente la transizione, evitando che a pagarne il conto siano i più deboli.

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