Tra Asia e Oceania: i cinque elementi del viaggio di Francesco

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Foto di Denise Jans su Unsplash

Alcuni viaggi, come quello che ha inaugurato il suo pontificato, il viaggio a Lampedusa, hanno avuto un’agenda chiara, di lettura trasparente, non complessa. Questo no. Il primo elemento che emerge da questo viaggio, il più lungo in termini chilometrici del pontificato, riguarda la salute di Bergoglio. Se non si fosse sentito di affrontarlo non lo avrebbe fatto: è già accaduto, con il rinvio del suo pellegrinaggio in Sud Sudan e in Congo, o con la partecipazione indiretta a Cop 28. Eppure tutti sanno quanto Francesco avrebbe voluto esserci, di persona. Questa scelta corre sempre sul filo sottile che tiene insieme zelo missionario e responsabilità. Lo zelo missionario di Francesco è evidente, come anche la responsabilità. Non ha accettato di fare il papa per riposarsi, ma averlo fatto gli impedisce di agire irresponsabilmente. Dunque parte perché sente di poter affrontare un viaggio così lungo e faticoso. Rischia, perché deve, ma senza eccedere, perché non deve.

Il secondo elemento che emerge chiaro è che Francesco prosegue il suo periplo, una sorta di corteggiamento-accerchiamento spirituale della Cina. Che Pechino sia, logicamente, tra le sue priorità, è noto: che i suoi viaggi recenti, dalla Mongolia al Kazakistan a questo, soprattutto per la tappa a Singapore dove la comunità cinese è grandissima, siano anche una sorta di girare attorno a Pechino appare evidente. L’accordo provvisorio con Pechino è ancora tale, cioè provvisorio, va tra alti e bassi, ma la posta in gioco è enorme: portare Pechino a riconoscere la fedeltà dei vescovi cinesi a Roma, o per ora “anche a Roma”, con oggettiva parità di gradimento, vorrebbe dire introdurre il pluralismo nel cuore di un paese in cui il segretario del PCC è ancora il figlio del cielo, come si faceva chiamare l’imperatore. Comunista, capitalista, ma soprattutto dirigista in tutto, Pechino ce la farà? Sarebbe, o sarà, una novità di portata epocale. E chi non capisce questo si dimentica quanto lunga sia stata questa strada qui in Europa.

Il terzo elemento è l’importanza che il vescovo di Roma attribuisce al dialogo con l’Islam, visto che l’Indonesia, dove sosterà a lungo, è il più popoloso tra i Paesi a maggioranza islamica. I cattolici sono il 3% della popolazione. Il motto nazionale, “unità nella diversità”, sembra riassumere la sua enciclica “Fratelli tutti”; ma un enciclica o un motto sono una cosa, la realtà un’altra, e il vescovo di Roma va a confermare la sua scelta, l’importanza del dialogo abramitico, che non tutti però condividono, vista la nota e preoccupante presenza del fondamentalismo islamico in questo Paese.

Il quarto elemento è la portata della sosta a Timor Est, piccolo e poverissimo Stato sovrano, quasi tutto cristiano, ma soprattutto il solo al mondo che abbia scelto il documento sulla fratellanza umana firmato dal papa di Roma e dalla massima autorità teologica dell’islam sunnita, l’Imam dell’Università di al-Azhar, Ahmad Tayeb, nel 2019 ad Abu Dhabi. Timor Est si chiama così perché la sua sovranità è solo su parte dell’isola di Timor, un’isola spezzata, come Papua Nuova Guinea, che comprende solo la parte orientale di quest’altra isola del Pacifico. Anche qui c’è il fondamentalismo, questa volta cristiano e segnatamente di matrice evangelicale, ed è difficile non cogliere un’opportunità di distanziamento preoccupato da parte del papa, proprio come in Indonesia.

Il quinto elemento, che tocca anche Singapore, è l’interesse di Francesco non solo per le periferie del mondo, ma anche per le periferie ecclesiali, le cosiddette Chiese dello zero virgola, dove Francesco vede un’opportunità, non un problema. È l’opportunità di sostenerle, accompagnarle, ma anche di ascoltarle, perché portatrici di istanze nuove, in un mondo in continua evoluzione. Lo sguardo di Francesco a me sembra rivolto verso una Chiesa globale. Il papa che disse di sé, nel giorno della sua elezione, che i suoi confratelli sembravano essere andati a cercare il nuovo vescovo di Roma alla fine del mondo, non va alla fine del mondo, ma nel mondo che noi viviamo come al di là dei suoi confini, senza che lo sia. Basta considerare l’importanza globale di Singapore, e il peso del buio che seguita a calare sulle isole che Francesco visiterà.

C’è infine un sesto elemento che cito per ultimo ma che non sarà l’ultimo. Se è evidente il bisogno di pace e quindi di democrazia nelle tappe di questo viaggio, anche la questione ambientale lo accompagnerà dall’inizio alla fine. Questo lo dice la realtà, non la propensione “ambientalista” di Francesco.