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Tik Tok, la piattaforma social che spaventa

E' presente ormai in 150 Paesi, ha una interfaccia disponibile in 75 lingue diverse, un miliardo di iscritti e almeno 500 milioni di utenti attivi, prevalenza di minori a servirsene, presenza di potenziali predatori ad approfittare di una fauna svagata da trasformare rapidamente in appetibile cacciagione. Coinvolge – ed “ipnotizza” – ragazzini da sei a quattordici anni e cresce di oltre il 200 per cento l’anno. In Italia, in soli tre mesi, è passato da poco più di due milioni di utenti ad oltre sei milioni, palesando una contaminazione virale che identifica un fenomeno difficile da controllare il cui concime è il serafico disinteresse delle Istituzioni, della scuola, delle famiglie. Parliamo di “Tik Tok”, una “app” che – in ossequio all’appellativo – scandisce la giornata dei più piccoli, indirizzandone i comportamenti, modificandone le abitudini, plasmandone i gusti e le opinioni, deformandone la realtà.

Fortunatamente qualcuno si è accorto della situazione. Chi? Il Garante, ma – tranquilli – certo non quello “per l’infanzia e per l’adolescenza” che i benpensanti sarebbe portati ad immaginare quello competente per materia e soprattutto operativo su certi fronti così delicati. A richiamare l’attenzione sulla “app” più devastante per i giovanissimi è stato il Garante per la Privacy, sollecitato da notizie stampa che illustravano la presenza di un bug che assicurava l’indebita sottrazione di dati personali degli iscritti al social network “Tik Tok”. L’allerta è lanciata da Antonello Soro, presidente dell’Autorità per la protezione dei dati personali, da mesi scaduto e mantenuto in “prorogatio” dalla inerte litigiosità dei parlamentari che ancora non trovano un accordo per nominare i successori. Soro, cui va reso merito di aver tentato di contrastare i colossi del web e di non aver avuto timore di farsi nemici potenti, ha chiesto al Comitato europeo per la tutela della privacy di intervenire e ha proposto la creazione di un gruppo di lavoro in cui convogliare esperti che possano comprendere l’eventuale sussistenza di pericoli legati al social network cinese capillarmente diffuso tra la popolazione “under 16”.

In realtà non c’è bisogno di alcun comitato e tantomeno di nessun approfondimento, perché i rischi connessi a TikTok sono disgraziatamente lampanti a dispetto di chi non sente il dovere di intervenire in maniera radicale e senza ulteriori perdite di tempo. Intanto è bene chiarire di cosa ci stiamo occupando. La fonte di legittima apprensione è una applicazione cinese che – installata sugli smartphone e su altri dispositivi elettronici – consente ai suoi utilizzatori di creare e condividere brevi video con effetti speciali. La piattaforma – la cui “app” è tra le più scaricate ed installate al mondo – è affollata di scherzi, barzellette, clip musicali, filmati autoprodotti dagli utenti. Qualcuno considera TikTok il karaoke dell’era digitale, ma in realtà ci troviamo dinanzi a qualcosa che va ben oltre la mera esibizione canora di chi – in playback – magari muove le labbra sincronizzandole con le parole di qualche brano popolare.

Più facile ad usarsi rispetto Facebook o Twitter, è una cornucopia di contenuti non sempre adatti ai giovanissimi e permette la condivisione di video che spaziano dalle persecuzioni dei cyberbulli alle esibizioni sessuali esplicite di minorenni a caccia di like, di follower o di denaro per la prosecuzione privata di certi show. Lo scorso anno, in tre mesi di osservazione, una diligente rilevazione di BBC Trending ha raccolto centinaia di commenti sessuali pubblicati su video caricati da adolescenti e bambini, a dispetto delle presunte regole ferree dell’azienda che gestisce la piattaforma social e delle attività di rimozione operate a fronte di controlli e segnalazioni. Nel pacifico sonno di chi dovrebbe provvedere, la BBC non ha perso occasione di identificare un numero di utenti habitué della pubblicazione di messaggi sessualmente espliciti sui loro video. Diversi account erano gestiti da minori di tredici anni e alcuni di loro ne avevano appena nove.

Nonostante questo inquietante stato delle cose, TikTok non ha pianificato alcuna efficace iniziativa volta ad identificare l’età di chi si iscrive (operazione peraltro non facile vista la poca sincerità di chi vuole accedere a quello che i bimbi immaginano come il “Paradiso terrestre”). Se i video di scolaretti che cantano o ballano innocentemente attraggono sciami di commenti “suggestivi”, è facile immaginare come filmati più ammiccanti possano catalizzare malintenzionati di ogni sorta. Molti genitori in Gran Bretagna hanno dichiarato di essere rimasti impietriti nel vedere i loro figli ricevere messaggi diretti “aggressivi” da persone – diciamo – “non coetanee”. 

Proprio nella terra della Brexit, la “Commissioner” per la privacy – Elizabeth Denham – aveva lanciato un’indagine conoscitiva sulle preoccupazioni innescate dalla possibilità che adulti predatori potessero inviare liberamente messaggi ai bambini. Forse varrebbe la pena non partire da zero con l’ennesimo (magari inconcludente) gruppo di lavoro, ma approfittare delle informazioni già acquisite per guadagnare tempo prezioso. A dimostrazione che – sul fronte della sicurezza dei bimbi alle prese con le tecnologie di comunicazione – abbiamo già perso quasi un quarto di secolo c’è il libro “Genitori, occhio a Internet” che ho pubblicato con i miei colleghi Vincenzo Merola e Giovanni Caporale (all’epoca con me all’Autorità per l’Informatica nella P.A.). Quel manuale è datato 1997 e quei genitori sono ora nonni e quei ragazzini sono loro stessi genitori. Cosa sarebbe successo se qualcuno avesse fatto tesoro delle parole di allora, invece di sorridere della improbabilità di determinati scenari?

 

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