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Lo stile di vita di una testimonianza evangelica

Dall’enciclica “Dives in Misericordia” emergenza una profonda testimonianza evangelica.  La mentalità contemporanea, forse più di quella dell’uomo del passato, “sembra opporsi al Dio di misericordia“. E tende altresì ad emarginare l’idea stessa della misericordia dalla vita. E  distoglierla dal cuore umano. La parola e il concetto di misericordia “sembrano porre a disagio l’uomo”. Siamo in presenza di un enorme sviluppo della scienza e della tecnica. Un livello mai conosciuto prima nella storia. Al punto da diventare padrone e soggiogare e dominare la terra. Un dominio sulla terra “inteso talvolta unilateralmente e superfìcialmente”. E che “sembra non lasciare spazio alla misericordia“. L’uomo si rende conto che dipende da lui orientare bene le forze da lui stesso suscitate. E che possono “schiacciarlo o servirgli“.testimonianzaLa stessa missione di papa, quindi come testimonianza di fede e di condivisione. Da oltre tre decenni mi occupo di informazione religiosa e sotto il pontificato di San Giovanni Paolo II si è svolta la mia formazione umana e professionale. Sono personalmente sempre stato convinto della sanità di Karol Wojtyla. E il suo “Magistero del dolore” ha eroicamente rafforzato questa convinzione in milioni di fedeli nel mondo. Prima ancora di compiere gli ottant’anni, aveva chiesto agli esperti se fosse stato il caso, in quelle condizioni, di dare le dimissioni; e, dopo la risposta negativa (comunque aveva predisposto ugualmente tutto, nel caso ce ne fosse stato bisogno), decise di fronte a Dio di proseguire la sua missione, almeno fino a quando ne avrebbe avuto le forze. Così, aveva continuato ad assolvere i suoi impegni, senza mai far pesare la sua malattia, le sue sofferenze, sulla Curia, sulla Chiesa universale.testimonianzaResistette fin quando poté. Per la prima volta, non ce la fece a partecipare alla Via Crucis al Colosseo. A Pasqua, si affacciò alla finestra dello studio, ma non riuscì a pronunciare la benedizione. Sentendo avvicinarsi la fine, volle congedarsi da tutti i suoi collaboratori, e anche da Francesco, l’uomo che curava la pulizia nell’appartamento pontificio. Il 2 aprile del 2005 era un sabato. Wojtyla sussurrò a suor Tobiana: “Lasciatemi andare dal Signore“. Poi, il suo cuore si fermò. E, già qui, c’era una prima eredità che Giovanni Paolo II lasciava: da uomo, prima che da Papa. E cioè, lui che era stato acclamato come “John Paul Superstar“, come “il Papa globetrotter”, vigoroso, atletico, osannato in tutto il mondo, e ora invece era un povero vecchio impedito di camminare, impedito di parlare, ebbene, voleva ricordare – a una società ossessionata dal vitalismo, dall’efficientismo, dalla sublimazione del corpo – come si possano vivere le diverse stagioni della vita con dignità, con serenità. E, soprattutto, come si possa affrontare con coraggio anche una prova così sconvolgente, così “definitiva”, come la morte.testimonianzaQuel 2 aprile era la vigilia della festività della Divina Misericordia. Difficile pensare che fosse stata solo una “coincidenza”. Era stato lui, Giovanni Paolo II, a riscoprire e rilanciare quello che è uno degli attributi centrali di Dio e del suo amore senza confini. Era stato lui, a istituire quella festa. Era stato lui, a dedicare alla Misericordia il suo miglior documento, la lettera apostolica Dives in Misericordia. E dove c’era, in controluce, il senso profondo della sua vita e del suo progetto di rinnovamento della Chiesa. Molto in sintesi, la Dives in Misericordia era un invito alla Chiesa molto diretto, molto esigente. Un invito, non solo a professare la misericordia di Dio, non solo a immetterla nella vita dei fedeli. Ma anche, se la Chiesa vuole essere veramente specchio fedele di Cristo, tornare a mostrarsi più misericordiosa, più pronta al perdono: “… non le è lecito, a nessun patto, di ripiegarsi su se stessa. La ragione del suo essere è, infatti, quella di rivelare Dio“.E si arriva qui a un altro dei contenuti più significativi dell’eredità lasciata da Giovanni Paolo II. E cioè, la testimonianza che, con la sua vita, ha dato della fede in cui credeva. Come dire che la sua vita diventò essa stessa testimonianza: proclamava la presenza di Dio nella storia umana. E nello stesso tempo, vivendo visibilmente questa fede, la rendeva parte integrante dell’esistenza umana. Si potrebbe dire, senza trionfalismi, che Karol Wojtyla sia stato il Papa dell’Incarnazione, ossia il Papa che ci ha fatto vedere il volto umano di Dio. Con la sua fede, con la sua missione, con il suo impegno per la difesa di ogni persona, e ancora, con la santità che ha segnato costantemente la sua esistenza, con il coraggio e la serenità con cui aveva affrontato tante prove, l’attentato, le malattie e infine la morte, Karol Wojtyla ci ha mostrato come fare una nuova esperienza di Dio, il Dio dell’amore, della misericordia, della tolleranza. Da qui, la testimonianza che Wojtyla ha dato di una nuova spiritualità, ossia di un nuovo modo di intendere la vita cristiana. Che è l’incontro con “qualcuno” che ti cambia completamente l’esistenza; e, dunque, non è solo dottrina, non è soltanto un insieme di leggi. E tanto meno un moralismo fine a se stesso, solo divieti, solo pesi che sono oltretutto inutili.E, dalla nuova prospettiva spirituale, discendeva conseguentemente quello che si potrebbe definire un nuovo “stile di vita” per i seguaci del Vangelo. E cioè, un nuovo modo di essere cristiani oggi, di come vivere la fede nell’esperienza di tutti i giorni. Una fede vissuta come scelta personale, matura, e continuamente rinnovata, rafforzata, e soprattutto testimoniata. E proprio la misericordia è l’architrave anche del pontificato di Jorge Mario Bergoglio.

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