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Tesla, tutto oro quel che luccica?

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Non tutti sanno che la storia dell’auto elettrica è ben più antica di quanto si creda. I motori elettrici, infatti, sono stati addirittura pionieristici poiché il primo fu sperimentato nel 1839, ben prima di quelli a combustio. Questa tecnologia fu, tuttavia, accantonata perché considerata poco affidabile ed efficiente per via di una variabilità sensibile nelle prestazioni a seconda del clima oltre che per la scarsa autonomia delle batterie e i lunghi tempi di ricarica.

Fino agli inizi del 21esimo secolo i veicoli elettrici erano limitati, ad esempio, ai giochi per bambini e ai cart che da anni popolano i campi da golf trasportando i giocatori tra una buca e l’altra. Da qualche anno, però, qualcosa è cambiato. Il progresso tecnologico ha portato le batterie a fornire più autonomia e più stabilità nelle prestazioni, i tempi di ricarica si sono abbassati notevolmente anche solo rispetto a dieci anni fa ed ecco che l’ipotesi di un’auto a zero emissioni e alimentata dalla corrente elettrica è tornata alla ribalta.

Tra tutte le proposte che il mercato fornisce, senza dubbio, la più famosa è Tesla che, senza aver paura di essere smentiti, oggi rappresenta il marchio per antonomasia nel segmento elettrico e ad alta tecnologia. Queste vetture rappresentano l’immagine dell’auto che gli amanti della fantascienza si erano fatta tra gli anni 60 e gli anni 80, tecnologiche e computerizzate, anche se non senzienti come il Kitt protagonista del serial Supercar, e con prestazioni da super sportiva.

Nel corso degli anni, intorno all’azienda e al suo Ceo Elon Musk, è nata una sorta di leggenda che sfocia, in taluni casi, quasi in una venerazione, esattamente come fu con la Apple di Steve Jobs. Chi sia Elon Musk è superfluo ricordarlo ma, forse, che Tesla non sia una sua creatura questo sfugge ai più. L’azienda nacque nel 2003, ad opera di Martin Eberhard e Marc Tarpenning, e solo l’anno successivo Musk entrò nel capitale dell’azienda, come primo investitore per diventarne Ceo nel 2008.

Da allora sono passati più di dieci anni e Tesla è passata da startup a azienda quotata, vendendo i suoi prodotti in ogni continente e donando sogni a clienti e ammiratori. In sedici anni di vita, tuttavia, non ha prodotto un solo centesimo di utile, anzi le perdite sono andate aumentando di pari passo con il numero di auto vendute, più aumentava il fatturato e più l’azienda perdeva, arrivando anche a segnare oltre 700 milioni di dollari di rosso solo nel primo trimestre di quest’anno, cosa che mette un serio punto interrogativo sulla possibilità di raggiungere almeno il pareggio contabile a fine dicembre.

Nonostante questi numeri, però, l’azienda annuncia di avere liquidità per circa 2,2 miliardi in cassa ma, stando a un report che sta circolando a Wall Street e che sta rimbalzando sempre più sulla stampa, parrebbe che oltre i tre quarti di questa siano costituiti dagli anticipi della clientela, tanto che numerosi commentatori hanno paragonato la gestione finanziaria di Tesla a uno schema Ponzi.

Senza arrivare a supportare accuse simili un punto cruciale è che tra poco scadranno 920 milioni di prestito obbligazionario e che questi vadano rimborsati. Il problema, quindi, non sarà se Musk dovrà chiedere nuovi capitali al mercato, questo è scontato, ma per quale importo, in che forma e a che prezzo visto che il rating di Tesla, al di là dell’aspetto tecnologico e della percezione del fandom, è oggi a B3 per Moody’s, quindi ampiamente all’interno della categoria dei Junk Bond (titoli spazzatura, per intenderci).

Al di là del giudizio sul prodotto e sul possibile apporto disruptive futuro sui mercati, vista l’accelerazione che il segmento Ev nel settore auto sta avendo, è evidente che qualcosa non torni nella gestione dell’azienda; i paragoni con i bilanci delle start up, ovviamente, non hanno alcun fondamento perché un’azienda con sedici anni di storia e quotata non può certamente essere annoverata in questa categoria di imprese; non funziona, poi,  il parallelo con altri big tecnologici, come Amazon, che hanno raggiunto il break even in pochi anni dalla fondazione (dieci in questo caso) iniziando a “macinare” utili.

Il costo spropositato delle batterie – circa 30.000 euro per quelle montate sui modelli S e X – non permette grandi manovre sui costi delle auto e la fine degli incentivi fiscali sugli acquisti di auto elettriche cominciano a farsi sentire sugli ordinativi, tanto che nel Q1 2019 gli ordinativi sono calati di oltre il 30% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

In definitiva Tesla resta un mistero finanziario, una società da sempre sull’orlo del crack ma che, in un modo o nell’altro, continua ad operare, sfruttando un mercato che la foraggia a debito forse in previsione di un’opportuna alleanza qualora gli asset tecnologici che questa sta sviluppando possano diventare realmente strategici.

Una notizia interessate, in questo senso, è quella che Fca abbia appena concluso un accordo miliardario che andrà a dare ossigeno alle casse di Palo Alto per l’acquisto delle c.d. “quote verdi” a compensazione del ritardo nello sviluppo di modelli ibridi e elettrici da parte del costruttore italoamericano; e se questo fosse il primo approccio, forse, per testare una futura aggregazione tra le due aziende, come già avvenne tra Fiat e Chrysler anni fa, creando un polo che annoveri alcuni dei marchi più prestigiosi al mondo come Jeep, Alfa Romeo, Ferrari, Maserati e, appunto,Tesla? L’ipotesi sarebbe anche affascinante ma, al momento, resta nel campo della pura immaginazione.

 

 

Matteo Gianola: