C’è qualcosa che non torna. Con tutti i salassi programmati per famiglie ed imprese e resi operanti degli ultimi anni, i conti della spesa e del debito dovevano ridursi, ma così non è stato. La politica di tassi di interesse praticata dal Governatore della Bce Draghi, che ha fatto risparmiare una montagna di denaro ai paesi con grande debito come l’Italia, è stata un chance sprecata che a conti fatti non ha contribuito a riassorbire il debito, ma ha deresponsabilizzato i nostri governi ed ha sottratto credito alle famiglie ed alle imprese.
Molti si lamentano che l’Europa chiede al nostro Bel Paese maggiori garanzie sulla stabilità del bilancio dello Stato, ma hanno torto a dolersene. È difficile per i nostri partners comprendere gli accadimenti ed i comportamenti dei governanti italici. Infatti quest’ultimi hanno ingaggiato un persistente scontro epico con le autorità UE per l’autorizzazione della flessibilità dei conti, ma non per investimenti ed infrastrutture materiali ed immateriali (si parla tanto di digitale), o per colmare il deficit di attrezzature digitali nelle nostre scuole, o per la ricerca e per rendere il nostro paese più competitivo. Nulla di tutto questo; la flessibilità è stata concepita come occasione per spargere qui e lì soldi dello Stato, per accontentare vari ambienti sociali, e con il proposito di ottenerne un tornaconto elettorale.
Ora il Governo annuncia l’ennesima manovra di 3,4 mld per placare le richieste della Unione, e di nuovo ricorre alle tasse. Annuncia tagli ai consumi intermedi della Pubblica Amministrazione per circa 800 milioni, poi un centinaio di milioni dai tabacchi; ma i 3/5 della manovra riguarderanno tasse.
Immancabile l’aumento delle accise in barba alla politica di ribasso del petrolio praticato dagli Emiri, e nel disinteresse di tutelare circolazione di merci e cittadini. Poi, i soliti e misteriosi recuperi della evasione fiscale per 1 miliardo di euro. Sconcerta la ripetitività della natura dei provvedimenti senza neanche provare a trovare fonti alternative di introiti statali.
Ed invece per esempio, si potrebbe ricavare denaro dalla vendita del patrimonio statale di terreni ed edifici, e si potrebbero accorpare enti ed istituzioni ancora pletorici e mangiasoldi. Ma queste misure vengono rifiutate perché richiedono un piano dettagliato e rigoroso, e comportano lo scontro con vari interessi che non si vogliono disturbare. Allora come sempre meglio ricorrere alle tasse, che hanno un grande pregio; appena le decidi, in un battibaleno i denari entrano in cassa. In particolare le accise, che si prestano ad assicurare un semplice e scorrevole cash flow senza troppe complicazioni per l’Ufficio delle Entrate.
Ed intanto tra tasse dirette e quelle indirette gli italiani vengono annoverati tra i popoli più spremuti del mondo, e con prestazioni e servizi pubblici più scadenti. In queste condizioni, come potrebbero andare bene i consumi con cittadini così tartassati? È come possono prosperare le imprese, se gran parte dei loro guadagni, sono destinati per le tasse di Stato?