Si dice che il numero 17 porti male, ma per favore, non ditelo a Giovanni Malagò, numero uno dello sport italiano che salta dalla gioia come un bambino davanti ai regali sotto l’albero di Natale. Diciassette medaglie, sette in più a quattro anni fa in Corea e vicinissimo al record di Lillehammer che con le sue venti medaglie (7 ori, 5 argento e 8 bronzi), rimane lontana, ma non così tanto. E la spedizione azzurra a Pechino 2022 può rallegrarsi. Lo aveva detto alla vigilia il presidente Malagò, quando si augurava di portare a casa più medaglie dell’edizione di Pyeongchang del 2018 quando il bottino fu di dieci medaglie (3 d’oro, 2 d’argento e 5 di bronzo). A pensarci bene a Pechino, l’Italia ha fatto meglio anche di Salt Lake City del 2002 quando confezionò ben 13 medaglie (4 d’oro, 4 d’argento e 5 di bronzo). A Pechino ne abbiamo portate a casa 17 (2 d’oro, 7 d’argento e 8 di bronzo). Tanta roba e la soddisfazione non può che essere tanta perché premia un movimento che si è mosso tra mille difficoltà ma che alla fine ha espresso la miglior qualità dello sport italiano.
Diciassette medaglie: bellissimi i due ori conquistati da Arianna Fontana (short track, 500 metri) e nel curling doppio misto con Stefania Costantini e Amos Mosaner. Cifre e numeri snocciolati attraverso le giornate di gara che pian piano hanno esaltato il valore dei nostri atleti. Così sono arrivate sette medaglie d’argento (Francesca Lollobrigida (pattinaggio velocità, 3.000 m); Arianna Fontana, Martina Valcepina, Arianna Valcepina, Andrea Cassinelli, Pietro Sighel, Yuri Confortola (short track, staffetta mista); Federica Brignone (sci alpino, slalom gigante); Federico Pellegrino (sci di fondo, sprint TL); Omar Visintin, Michela Moioli (snowboard, mixed team cross); Sofia Goggia (sci alpino, discesa libera); Arianna Fontana (short track, 1500 m) e poi altre sei di bronzo (Dominik Fischnaller (slittino, singolo); Omar Visintin (snowboard, cross); Davide Ghiotto (pattinaggio velocità, 10.000 m); Dorothea Wierer (biathlon, 7,5 km sprint); Nadia Delago (sci alpino, discesa libera); Pietro Sighel, Yuri Confortola, Tommaso Dotti e Andrea Cassinelli (short track, 5000 m staffetta), Federica Brignone (combinata alpina femminile) e Francesca Lollobrigida (pattinaggio di velocità).
Ma la copertina di questi Giochi invernali di Pechino, non ce ne vogliano gli altri indelebili protagonisti, è tutta per Sofia Goggia, che a Pechino doveva difendere l’oro conquistato quattro anni prima in Corea del Sud. Alla fine ha vinto un argento che profuma d’oro, perché a Pechino, non doveva neppure esserci. Le lacrime di Cortina, venti giorni prima della Cina, sembrava la fine di un sogno. Per molti, non per tutti, neppure per Sofia, la regina della discesa libera, la donna più veloce del mondo, che in Coppa aveva fatto stropicciare gli occhi al mondo intero. Poi, il pasticcio di Cortina, quella rovinosa caduta che avrebbe messo al tappeto, soprattutto moralmente, anche un elefante. Non Sofia, 29 anni, bergamasca, una forza interiore riscontrabile in pochi altri. Un autentico fuoriclasse, avviato a dominare la scena per molti anni ancora perché il suo futuro è adesso. Quello che ha combinato a Pechino, rappresenta qualcosa di incredibile. Voleva Pechino e l’ha ottenuta, sapeva di correre rischi nello scendere e li ha accettati, perché la sua vita è di corsa e una discesa frenata dalla paura non avrebbe avuto senso. E allora giù, col cuore in gola, magari anche incosciente, ma Sofia è così, prendere o lasciare. Quel legamento ballerino che mal si addice a chi sulle gambe imprime forza, apparteneva già al passato nel momento in cui è salita sull’aereo per la Cina. Lì non voleva avere rimpianti, doveva scendere come solo lei sa fare. E lo ha fatto con una discesa da paura, la consapevolezza di essere più forte anche di un destino che le aveva voltato le spalle. Seconda dietro la svizzera Suter, davanti all’altra azzurra Nadia Delago, staccata di 57 centesimi, per ribadire la bontà del nostro movimento. Ma quella medaglia, è l’argento vivo che Sofia ha addosso. Un argento che luccica come l’oro, come gli occhi di Sofia, passata dalle lacrime di Cortina ai sorrisi a fondo valle sulla pista di Yanquing. La sua è stata l’impresa più grande di questi Giochi, perché è proprio vero, nothing is impossible. Passare da Bergamo e chiede a Sofia. Lei saprà dirvi cosa fare.
L’oro della Fontana e nel curling doppio misto ci hanno subito fatto capire che poteva essere la volta buona. Ma non c’è rosa senza spine, come le altre lacrime, quelle di Arianna Fontana, che dopo la conquista dell’oro, ha lanciato un vero e proprio atto di accusa verso la Federazione. Ha parlato di concorrenza sleale, rapporti difficili. E quelle lacrime sul podio, sono la sintesi, non solo di una splendida vittoria, ma anche di tanta rabbia per un rapporto con la federazione che non c’è. Dietro c’è una storia di un’atleta che è arrivata sul podio più alto, da separata in casa. Una sofferenza profonda e la “sua” verità. “C’erano persone che non mi volevano, non ci hanno aiutati (riferimento a lei e al marito allenatore) ed hanno provato a non farci arrivare a Pechino. Ma ce l’abbiamo fatta. La Federazione non mi ha aiutato con la decisione di avere mio marito come allenatore, ma è stata la scelta migliore perché sono qui a festeggiare un altro oro”. E poi altre accuse nei confronti dei maschi che addirittura l’avrebbero presa di mira. Poi ci ha pensato il presidente Andrea Gios che ha provato a stemperare gli animi. Proprio la presenza del marito allenatore/personale, e quindi non federale, ha finito con il rovinare i rapporti. Ma a Cortina, tra quattro anni, se non cambiano le cose, difficile vederla in gara.
Le due facce di un’Italia felice e vincente, perché con il passare dei giorni, sulle nevi di Pechino, l’Italia s’è desta, quasi a voler emulare gli azzurri che ai Giochi estivi di Tokyo avevano fatto scintille, come gli altri azzurri, quelli del calcio, che a luglio dello scorso anno hanno vinto il campionato europeo. Moioli, Brignone, il resto di un gruppo solido, forte, con la stessa unità d’intenti, quel tricolore che anche a Pechino si è fatto valere e ha fatto capire al mondo intero che “Noi siamo l’Italia”. Pechino 2022 ha detto che l’Italia delle nevi c’è, con tutti i suoi interpreti che alla fine hanno portato a casa diciassette medaglie. Tante. Malagò ha di che essere soddisfatto, anche se il futuro è ancora tutto da scrivere. Il gruppo azzurro non è totalmente coeso, due atlete non si parlano, non sono amiche. Ma vincono. E poco importa se fuori dal campo si guardano anche in cagnesco. Il vero problema è l’anagrafica della nazionale, perché gran parte delle medaglie portate a casa, sono figlie di atleti che hanno 30 anni e la prossime edizione dei Giochi di Milano/Cortina avranno qualche primavera in più sulle spalle, e dietro di loro non c’è molto. Forse di questo bisognerebbe cominciare a preoccuparsi. Ma da domani, oggi godiamoci l’ennesimo trionfo azzurro. Con quel 17 stampato nel medagliere. Che all’Italia, ha portato solo bene.