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Sugli attacchi al Papa di chi difende l'aborto

Certamente è preoccupante la recente ondata denigratoria che si è manifestata contro la Chiesa cattolica e contro Papa Francesco. È purtroppo doveroso constatare che questo, altro non è che il risultato di una cultura anticlericale strisciante che in nome di una presunta libertà da tempo viene alimentata da occulti poteri forti. Il risultato è che si è arrivati ad una situazione tale per cui il cattolico oggi si sente estraneo nel proprio Paese e non più libero non potendo e soprattutto non dovendo poter esprimere il proprio giudizio su temi etici quali quello relativo all’interruzione di gravidanza, come dimostrano le proteste sollevate nella delibera adottata ultimamente dal consiglio comunale di Verona relativamente all’aborto.

Ancor più si vorrebbe impedire alla Chiesa, che non dimentichiamolo è universale e non soltanto italiana, di poter intervenire sui temi etici con direttive che non solo ha il diritto ma riteniamo anche il dovere di suggerire ai propri fedeli. È quanto accaduto recentemente in questi giorni al Pontefice quando ha manifestato il proprio doveroso dissenso nei confronti dell’interruzione di gravidanza. Risulta quantomeno curioso constatare che coloro che fino a ieri hanno inneggiato a Papa Francesco per la sua difesa dei poveri o perché hanno travisato il concetto di Misericordia con un’assoluzione a prescindere da ogni peccato, oggi ideologicamente accusano Sua Santità per avere usato il termine “sicario” in relazione all’aborto. Il problema non sta nel metodo, cioè nell’applaudire ieri il Pontefice e nell’accusarlo oggi, ma nel merito, cioè nel non voler affrontare seriamente la piaga dell’aborto.

Con la scusa di soffermarsi sul linguaggio di Papa Bergoglio, che spesso appare colorito anche per via della sua non perfetta padronanza della nostra lingua, si tenta di nascondere l’essenza di ciò che Francesco intendeva dire e cioè che l’aborto ha procurato, procura e procurerà l’interruzione di milioni di vite umane; questo è il dato di fatto drammatico che si vuole sottacere da parte di certe maldestre interpretazioni giornalistiche sulla semantica a scapito di una drammatica realtà di morte. Ma veramente si vuol far credere che il Pontefice così aperto alla misericordia divina intendesse offendere o condannare quelle donne che vivono il doloroso dramma dell’aborto o quei medici che devono comunque confrontarsi con Ippocrate prima e la propria coscienza poi, donde il diritto all’obiezione?

L’art. 6 della L. 194 così recita: l’interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi 90 giorni può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna, b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Le domande e le riflessioni in questo ambito sono molteplici e debbono prescindere da inutili e futili discussioni su quello che rappresenta il valore della vita per i cattolici o per i non credenti. Innanzitutto c’è da porsi la domanda di cosa è la vita e se la vita assume valore solo quando si è sani. E ancora: la vita rappresenta comunque un valore e, se sì, è un valore comune a tutti o è solo un valore dei cattolici? Siamo convinti che la vita rappresenti il primo valore così come previsto dalla nostra Costituzione ( art. 32) ed è comune ad ogni razza, confessione religiosa o visione filosofica. Rappresenta il cardine principe di una società che voglia dirsi civile. Non è scritto nella nostra Costituzione che il diversamente abile debba essere eliminato. Non si può unanimemente condannare l’Olocausto e in qualche modo diventare noi stessi giudici di chi ha diritto di nascere. Non si può far sì che il più debole non abbia una tutela e una difesa che ogni essere umano, in base alla “Convenzione Europea  per la salvaguardia dei diritti dell’uomo” (art. 2 diritto alla vita), ha ragione di avere. Non si può ricorrere alla 194 come diritto all’interruzione di gravidanza e misconoscerla nella sua applicazione quando si tratta di applicarla alla Ru486, quasi che questa possa essere considerata come una comune pillola da banco.

Ci si trova oggi di fronte ad un bivio generazionale dove ognuno è libero di scegliere se vivere o  morire (Dat), se procreare o non procreare, dove ognuno può agitare il diritto ad avere un figlio ad ogni costo, poco importa poi se con più genitori tra biologici e adottivi e magari anche dello stesso sesso. È una fase quella che sta attraversando la nostra società dove occorre fermarsi un attimo a riflettere, c’è una pillola per ogni stagione: quella per aumentare il desiderio e le prestazioni sessuali, quella abortiva per ogni necessità temporale finanche quella per sostenere gravidanze anche in tarda età. Assistiamo ad un momento in cui la pillola getta un ponte tra le varie stagioni della vita livellando la distanza tra donna fertile e donna in menopausa. È la stagione dove imperversa la chirurgia plastica anche tra le più giovani, dove ci si vergogna ad essere chiamati nonni in nome di una eterna giovinezza che si ha il terrore di dover perdere. Ecco perché se potessimo dire “Fermate il mondo, voglio scendere,” sarebbe ora il caso di farlo prima che il mondo giri così vorticosamente da travolgerci tutti in nome della nuova parola magica che è “l’autodeterminazione”.

Stefano Ojetti – Vicepresidente nazionale Amci (Associazione Medici Cattolici Italiani)

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