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Sudafrica al bivio mentre si celebra il Mandela Day

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Il 18 luglio del 1918 a Mvezo, in Sudafrica, nasceva Nelson Mandela, una delle figure più influenti del XX secolo. Attivista per i diritti umani, politico, patriota, Nobel per la pace, primo presidente non bianco del suo Paese e vero e proprio padre del nuovo Sudafrica.

Al suo nome è legata la lotta contro il regime dell’apartheid razzista e discriminatorio ma più in generale è considerato un’icona di libertà per tutti i popoli della Terra. Il suo impegno lo portò a subire 27 anni di reclusione che si conclusero l’11 febbraio 1990. Mandela è tornato in libertà,a 72 anni, era il più anziano prigioniero politico del mondo.

L’eredità umana, politica e culturale di Mandela

L’eredità umana, politica e culturale lasciata da Madiba (nomignolo datogli dalla sua tribù di appartenenza) è inestimabile e a testimoniarlo c’è l’odierna Giornata internazionale di Nelson Mandela (anche detta Mandela day) istituita dalle Nazioni Unite nel novembre del 2009 e celebrata la prima volta nel il 18 luglio 2010.

Uno degli insegnamenti più preziosi che bisognerebbe cogliere nella nostra epoca, segnata da quella che Papa Francesco ha definito una “terza guerra mondiale a pezzi”, è la rinuncia ad una strategia violenta e vendicativa in favore di un processo di riconciliazione e pacificazione, che comprenda tutte le comunità che compongono una Nazione.

Sudafrica caso quasi unico di convivenza pacifica

Come presidente del Sudafrica (maggio 1994 – giugno 1999) guidò la transizione verso la democrazia senza rotture e ritorsioni contro la popolazione di origine europea. Un processo che fu condotto tramite l’istituzione della cosiddetta Commissione per la Verità e la Riconciliazione. Lo scopo dell’organismo era raccogliere le testimonianze di vittime e carnefici dei crimini commessi nel periodo della segregazione ma non per portare ritorsioni e vendette ma per creare un’autentica riconciliazione tra bianchi e neri e per creare un’unica Rainbow Nation, come la definì lo stesso Mandela nel suo discorso di insediamento. Non a caso il nuovo Sudafrica è un caso quasi unico di convivenza post-coloniale tra le varie etnie, che ha visto “vincitori” e “vinti” cooperare per la prosperità del Paese.

Ancora oggi però il Sudafrica non ha pienamente realizzato questo processo e nonostante la crescita economica degli ulti decenni e la formazione di una classe media “nera”, permangono molte diseguaglianze e sacche di povertà che affliggono il Paese e minano la tenuta sociale. Proprio in queste settimane nel Paese più ricco del continente africano è in corso la peggiore crisi dalla fine dell’apartheid.

L’affaire Zuma

Le tensioni sono scoppiate dopo che lo scorso 29 giugno l’ex presidente del Sudafrica, Jacob Zuma, è stato condannato a 15 mesi di carcere per oltraggio alla corte dopo il rifiuto di presentarsi davanti agli inquirenti nel processo per corruzione. Zuma, 79anni, è accusato di aver consentito il saccheggio delle casse dello Stato durante i quasi nove anni della sua permanenza incarica.

Militanti pro-Zuma hanno dato vita a rivolte e saccheggi che sono sintomo sia delle diseguaglianze che delle rivalità politiche all’interno del partito al potere, l’African national congress (ANC). Secondo gli osservatori e la stampa internazionale, l’ex leader ha creato un sistema di corruzione che ancora influisce sulla vita del Paese, anche dopo tre anni la fine del suo governo. Sullo sfondo rimangono anche le questioni interetniche, Zuma infatti è uno zulu, principale etnia della Nazione e difatti è nel suo feudo di KwaZulu-Natal che si sono verificate le prime proteste contro l’attuale presidente Cyril Ramaphosa.

Il Sudafrica oggi

Oggi, dopo circa 27 anni dalla fine della segregazione razziale, a contrapporsi non sono i bianchi e i neri ma i vincenti e i perdenti del sistema economico e politico sudafricano. Il precedente boom economico ha inoltre alimentato l’immigrazione da altri Paesi africani a cui ha poi fatto seguito un’ondata di violenze contro gli immigrati, di cui si sono rese protagoniste proprio le fasce più povere della popolazione che temono la perdita di posizioni nel sistema del welfare, che resta il migliore nell’Africa sub-sahariana. Insomma l’ennesima guerra fra poveri.

Gli eredi di Mandela e tutta la classe dirigente del Sudafrica sono quindi chiamati ad uno scatto di responsabilità per salvare un modello che è stato un faro politico per tutti i governati del mondo chiamati a guidare processi di pace e conciliazione.

Marco Guerra: