Gira la voce insistente che il 28 dicembre Matteo Renzi ritirerà la fiducia al governo e aprirà una crisi. In politica è difficile prevedere cosa accadrà fra 14 giorni. In politica, diceva un primo ministro inglese: “Una settimana è l’eternità“, quindi non possiamo sbilanciarci in pronostici. Se dovessimo fare una scommessa diremmo che la cosa non avverrà, perché Renzi ha un asso in mano, che è quello che nessuno vuole andare alle elezioni, quindi secondo il suo ragionamento, magari, alla fine, cederanno, e gli daranno la poltrona da ministro della difesa – che tanto gli piace – per poi successivamente dover andare poi alla Nato.
Renzi però non si ricorda di una cosa: tra coloro che non vogliono andare alle elezioni c’è anche lui. Se si va alle elezioni, lui si avrebbe delle carte in mano ma finirebbe per essere fagocitato nel giudizio delle urne, perché un’elezione in tempo di coronavirus – quando non è obbligatoria – nessuno la capirebbe. Il paragone con le elezioni presidenziali americane non regge per il semplice fatto che erano un atto dovuto in quella data, non si poteva andare oltre. IN questo caso, invece, si tratterebbe di anticipare una chiamata alle urne che tutti si risparmierebbero volentieri. Il rischio per Renzi sarebbe doppio.
Se si aprirebbe una crisi, diciamolo chiaramente, avremmo un governo interinale per gestire delle cose che invece sono di importanza strategica come il Recovery Fund e l’arrivo eventuale del Mes, quindi ci vorrebbe un governo nel pieno del mandato politico e dei conseguenti poteri. Sono tutti elementi che spingono il Quirinale a evitare il più possibile un ricorso alle urne che sarebbe necessario davanti a una caparbietà e una testardaggine delle forze politiche che più passa il tempo, più stanno facendo marcia indietro. Questo la dice lunga su quello che potrebbe essere l’eventuale decisione dopo il 28 dicembre.
Noi arriveremmo a gestire l’insediamento della nuova gestione americana nel caos più totale e sarebbe un disastro totale. Renzi ha fretta di presentarsi come il referente con la nuova amministrazione americana. Sono tutte cose che paradossalmente rendono il quadro più instabile e quindi più stabile. Sono le basi instabili sulle quali si regge l’Italia degli ultimi anni. Una paradossale continuità perché il presidente del Consiglio è stato uno solo e quindi la linea politica è rimasta per molti versi, soprattutto nei confronti del coronavirus, la stessa.
A questo punto cosa succede? L’Italia è il calabrone che per le leggi della fisica non dovrebbe volare e invece continua a farlo. Un po’ azzoppato, ma nemmeno troppo rispetto ai Paesi vicini: la Germania che vuole fare lockdown, la Francia che molto presto arriverà alla stessa decisione della Merkel, e poi c’è l’Italia che è nel gruppo dei Paesi più colpiti ma che ha saputo rispondere meglio alla pandemia.
Non permettiamoci fughe in avanti perché non è il momento, ora è il omento della responsabilità, più di quanto ce ne sia stata finora. Uno dei responsabili, in questo momento, è il presidente del Consiglio, che si è appoggiato sui Dpcm come se fosse ormai una legislazione ordinaria, ha umiliato il Parlamento e ne ha ricavato un danno personale: il governo senza un Parlamento come interlocutore alla lunga stanca, sia dal punto di vista politico sia da quello dell’immagine.