Una delle domande che più spesso ricorrono sia in ambito scientifico che nell’opinione pubblica, è quanto duri la contagiosità di COVID-19. Secondo i “Centers of Diseases Control” (CDC) statunitensi, il tempo di isolamento raccomandato per le persone affette da COVID-19 è di 5 giorni, in quanto la maggior parte dei casi di trasmissione di SARS-CoV-2, si verifica all’inizio del decorso della malattia, 1-2 giorni prima dell’insorgenza dei sintomi e fino a 2-3 giorni dopo. Questa posizione è stata però contestata da alcuni ricercatori, dal momento che ci sono una serie di studi che indicano che in alcuni casi le persone rimangono infette fino a due settimane dopo la comparsa dei sintomi.
Uno studio ancora non pubblicato, ma presente nelle piattaforme, suggerisce che un quarto delle persone che si sono contagiate con la variante Omicron di SARS- CoV-2 potrebbe ancora essere infettivo dopo 8 giorni. Inoltre, si è visto in un altro studio presente anch’esso solo sulle piattaforme, condotto dal Creek Institute e dall’University College Hospital di Londra, testando i tamponi bio-molecolari di 700 partecipanti, che un numero significativo di persone mantiene cariche virali discretamente elevate, tali da trasmettere il virus, nei giorni da 7 a 10 dopo la prima diagnosi, indipendentemente dal tipo di variante o dal numero di dosi di vaccino ricevute.
Del resto, anche l’impiego di farmaci antivirali come il paxlovid, può determinare in alcuni soggetti un rimbalzo della viremia di cui bisognerà tener conto per definire la durata della contagiosità anche nei soggetti trattati. In conclusione, allo stato attuale delle conoscenze non si può ancora definire con assoluta certezza la durata della contagiosità dal momento che alcune persone possono continuare a trasmettere il virus per un tempo più lungo rispetto ad altre.
Uno dei problemi che è stato maggiormente dibattuto fin dagli esordi di questa pandemia COVID-19, riguarda la sua origine della stessa. A questo proposito è stato invocato l’incidente di laboratorio come possibile causa e gli aspetti scientifici si sono spesso mescolati con aspetti di natura politica e diplomatica. Due recenti studi apparsi nella prestigiosa rivista americana Science, pur non stabilendo in maniera definitiva l’origine, supportano l’ipotesi che il mercato all’ingrosso dei frutti di mare di Huanan a Wuhan in Cina sia stato il primo epicentro della pandemia COVID-19. Infatti, i primi casi noti di malattia nel dicembre 2019 sono stati segnalati in stretto rapporto con questo mercato. In particolare, i campioni ambientali positivi di SARS-CoV-2 sono stati associati ai venditori che trattavano animali vivi e, per questo, anche se non ci sono ancora prove sufficienti per definire la sequenza degli eventi avvenuti a monte e le circostanze dello spill-over o passaggio di specie, che permangono a tutt’oggi oscuri, si ritiene a giusto titolo che l’emergere di SARS-CoV-2 si sia verificato con il commercio di animali selvatici vivi e che il mercato del pesce di Huanan di Wuhan ne sia stato l’epicentro.
Il secondo articolo, sempre su questo argomento, tratta dell’epidemiologia molecolare di SARS-CoV-2 e conferma l’origine zoonotica multipla di questo virus. Infatti, analizzando la diversità genomica all’inizio della pandemia COVID-19, si dimostra che la diversità genomica di SARS-CoV-2 prima del febbraio 2020, comprendeva due lignaggi virali distinti denominati A e B. Questi due diversi lignaggi virali erano il risultato di due diversi eventi di trasmissione all’uomo. La prima trasmissione zoonotica probabilmente ha coinvolto i virus del lignaggio B attorno al 18 novembre 2019 (range 23 ottobre – 8 dicembre 2019), mentre l’introduzione del lignaggio A, si è probabilmente verificata a breve distanza dalla prima.
Questi risultati indicano quindi che è altamente improbabile che il virus SARS-CoV-2 circolasse negli uomini prima del novembre 2019 e, nel contempo, definiscono la stretta finestra temporale nella quale è avvenuto il salto di specie (spill over) dall’animale all’uomo. La ricostruzione degli eventi occorsi all’inizio della pandemia (così come emerge da queste due ricerche), oltre ad avere un’innegabile importanza a livello scientifico e storico, è fondamentale per migliorare le conoscenze al fine di prevenire le epidemie zoonotiche prima che queste possano causare la prossima pandemia.