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Gli studi che dimostrano l’efficacia della vaccinazione

E’ di fondamentale importanza l’uscita di uno studio (Arevalo C.P e altri) che, sulla scia dei recenti progressi delle piattaforme vaccinali a base di acidi nucleici per SARS-CoV-2, ha sviluppato un vaccino a nano particelle di RNA messaggero che comprende tutti gli antigeni dell’emoagglutinina relativi a tutti 20 sottotipi di virus di influenza A e B. Questo vaccino somministrato ai topi ed ai furetti ha prodotti alti livelli di anticorpi protettivi sia nei confronti dei virus influenzali, contenuti nel vaccino, che di quelli che non erano presenti.

Si tratta di un importante studio che al momento riguarda solo il modello animale, ma che potrebbe modificare la profilassi nei confronti dell’influenza stagionale e mutare radicalmente l’approccio verso questa malattia negli anni futuri. L’attuale momento epidemiologico indica a livello globale, come riportato dai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), una generale riduzione del numero dei contagi di COVID-19 nei vari continenti, con l’eccezione delle Americhe e del Pacifico Occidentale dove il loro numero sembra essere in crescita. Per quanto riguarda l’Italia, l’ultimo report dell’Istituto Superiore di Sanità segnala una battuta di arresto nel numero dei contagi rispetto a quanto osservato nelle settimane precedenti, che però non influenza ancora le ospedalizzazioni che sono in lieve aumento, così come i ricoveri in terapia intensiva, che comunque rimangono abbondantemente al di sotto del livello di guardia.

Se questa tendenza al ribasso si consoliderà nel corso delle prossime settimane, anche questi due parametri dovrebbero ridursi. Per quanto riguarda le caratteristiche del virus SARS-CoV-2, l’analisi delle sequenze depositate in questo periodo nel sito Gisaid, indica che la variante Omicron 5 è presente in maniera preponderante (>90%) ed in particolare, le sotto varianti BQ.1, BQ.1.1 (Cerberus) e XBB (Gryphon) sono in rapida ascesa. La continua evoluzione di Omicron pone delle problematiche importanti per quanto attiene la capacità neutralizzante degli anticorpi prodotti, sia dopo l’infezione acuta che dopo la vaccinazione. Uno studio (Qian Wang e altri) ha valutato la resistenza di diverse sotto varianti di Omicron alla neutralizzazione da parte degli anticorpi. Lo studio è stato condotto utilizzando gli pseudovirus di BA.4.6, BA.4.7, BA.5.9, BF.7. Si è così dimostrato che una serie di mutazioni determinano delle alterazioni a livello dello spike che a loro volta causano un sostanziale aumento di resistenza alla neutralizzazione anticorpale.

L’impatto clinico di queste mutazioni è testimoniato dall’osservazione che la combinazione degli anticorpi monoclonali cilgavimab e tixagevimab, non è in grado di neutralizzare alcuna delle sotto varianti sopra indicate, mentre l’anticorpo bebtelovimab resta l’unico presidio terapeutico che mantiene una potente attività neutralizzante nei confronti di tutte le forme di SARS-CoV-2 circolanti. In relazione alla nuova emergenza di sotto varianti di Omicron 5, tra cui le più rilevanti dal punto di vista epidemiologico sono: BQ.1, BQ.1.1, BA.4.6, BF.7, BA.2.75.2 (Panke Qu e altri) è stata esaminata la resistenza alla neutralizzazione da parte dei sieri ottenuti da operatori sanitari vaccinati con 3 dosi e da pazienti ospedalizzati per infezione da BA.1 e da BA.4/5. Per tutte le sotto varianti si è osservata una maggiore resistenza alla neutralizzazione che è stata maggiore per BQ.1, BQ.1.1 e BA.2.75.2.

È importante altresì sottolineare che tutte le sotto varianti di Omicron hanno mantenuto una minore capacità infettante nei confronti delle cellule in coltura. Questa segnalazione permette di far luce sulla evoluzione delle nuove sotto varianti emergenti di Omicron e può rivelarsi utile per comprendere meglio l’eventuale risposta che queste hanno nei confronti dei vaccini. Uno studio condotto in donne in gravidanza in Brasile (Florentino PTV e altri) che erano risultate positive al test per SARS-CoV-2, ha valutato l’efficacia del vaccino a mRNA (Pfizer) come richiamo di una precedente vaccinazione effettuata con due dosi di vaccino a virus inattivato (CoronaVac). Dai risultati è emerso che l’efficacia del richiamo vaccinale rispetto alla vaccinazione primaria in gravidanza, è stata del 37,7% nei confronti del COVID sintomatico e del 68,4% rispetto a COVID grave. Per questo motivo viene sottolineato ancora una volta l’importanza di effettuare una dose di richiamo nelle donne in gravidanza, dal momento che questa fornisce un’ulteriore protezione rispetto alla sola vaccinazione primaria contro COVID-19, specie per quanto riguarda le forme gravi di malattia.

Una riflessione (Shira Doron, Monica Gandhi) condotta sulla base dei dati di letteratura attualmente disponibili, ha valutato, da un lato il ruolo dei nuovi vaccini somministrati come richiamo e dall’altro i destinatari di questa vaccinazione aggiuntiva. La conclusione a cui giungono gli autori di questa ricerca è che i nuovi vaccini risultano essere estremamente efficaci quando sono somministrati come richiamo, anche se il loro utilizzo dovrebbe essere raccomandato, almeno in via prioritaria ed iniziale, ai soggetti più vulnerabili e quindi a maggior rischio di forme gravi e questo nell’ottica di ottimizzare la risposta immunitaria.

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