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Srebrenica: il più grande e terribile massacro in Europa dopo la Seconda guerra mondiale

Foto © Vatican News

È stata indetta per oggi, dalle Nazioni Unite, la prima “Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica del 1995“. La risoluzione documento ( A/78/L.67/Rev.1), approvata dall’Assemblea generale il 23 maggio scorso, con 84 voti favorevoli, 19 contrari e 68 astensioni, impegna il Segretario generale a istituire un programma di sensibilizzazione sul tema, in previsione del trentesimo anniversario, nel 2025, della tragedia di Srebrenica. La risoluzione condanna “qualsiasi negazione del genocidio di Srebrenica come evento storico e azioni che glorifichino coloro che sono stati condannati per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio da tribunali internazionali”.

Proviamo a ricostruire il “fatto storico” che s’inquadra all’interno delle guerre iugoslave (1991-1995), scoppiate a seguito della dissoluzione della Repubblica Federale Jugoslava con l’indipendenza prima della Slovenia e della Croazia, avvenuta nello stesso giorno (25 giugno 1991): separazione quasi pacifica nel primo caso e in forma conflittuale e violenta, con oltre 10 mila vittime, nel secondo caso, anche per la presenza massiccia di minoranze serbe all’interno del territorio del nuovo Stato.

Con la separazione e l’indipendenza della Bosnia Erzegovina (1° marzo 1992), un’altra delle sei repubbliche che formavano, assieme alle regioni autonome del Kosovo e della Vojvodina, la complessa struttura federale della Jugoslavia, ha origine una nuova lunga (aprile 1992-dicembre 1995) e sanguinosa guerra con circa 200 mila vittime, per gran parte civili, come drammaticamente avveniva in tutti i conflitti armati di fine secolo.

Con la morte, nel 1980, del presidente Josip Broz, più noto come maresciallo Tito, era entrato in crisi il suo modello di Stato federale, con un’economia socialista non rigidamente pianificata e con un forte potere della federazione, garantito dall’esercito erede delle formazioni partigiane che avevano liberato il Paese dall’occupazione tedesca. Era prevista in questo disegno una Serbia debole, per esorcizzare la sua latente volontà egemonica; era praticata anche una collocazione internazionale di neutralità, dopo la rottura, nel 1948, con l’Unione Sovietica, all’interno del Movimento dei paesi non allineati.

Il progetto di costituzione di Stati-nazione nello spazio dell’ex Jugoslavia s’inquadra nel fenomeno più ampio che investe l’Europa balcanica e orientale, dopo il crollo del blocco sovietico. Nel caso specifico della Bosnia Erzegovina, tutto è complicato e foriero di tensioni e scontri perché in essa sono presenti tre componenti: quella bosniaca-croata, quella bosniaca-serba e quella bosniaca-musulmana, con una differenziazione non etnica e linguistica, ma di fede religiosa: rispettivamente, il cattolicesimo, l’Ortodossia e l’Islam.

La guerra nella Bosnia Erzegovina, con alterne vicende militari e con il rovesciamento di alleanze, vede la formazione e l’utilizzo crescente di milizie che si sostituiscono all’esercito jugoslavo in via di dissoluzione e a quello in corso di formazione della Croazia e della Bosnia. Il ricorso sistematico dell’estorsione e del saccheggio, la pratica della pulizia etnica, con l’espulsione violenta d’intere comunità, l’occupazione e la distruzione di città, come Vukovar, Mostar, Sarajevo, confermano drammaticamente che è ormai la popolazione civile a essere l’obbiettivo e la vittima di questa guerra “irregolare”.

Sarajevo era stata la capitale della musica e del cinema e, per decenni, aveva attratto giovani da tutta l’Europa per la sua vivacità culturale e artistica e per la pacifica e gioiosa convivenza delle sue diverse comunità. I matrimoni misti, per il vero anche in tutta la Jugoslavia, erano frequenti e diffusi e la stessa comunità islamica era estranea a qualsiasi forma di fondamentalismo.

La guerra serbo-bosniaca vede anche l’intervento delle Nazioni Unite e ne sperimenta l’incapacità a comprenderne le ragioni profonde e le dinamiche del conflitto e a svolgere un ruolo pacificatore. Per la sua capacità di allusione e suggestione, esemplare è al riguardo il film, “No Man’s Land”, del 2001, del regista bosniaco Danis Tanović  che ha ottenuto il premio per la migliore sceneggiatura a l Festival di Cannes e l’Oscar per il miglior film straniero. In una trincea abbandonata di terra di nessuno si scontrano e si confrontano un miliziano bosniaco e uno serbo, mentre un altro soldato bosniaco è seduto sopra una mina. Sopraggiunge una pattuglia del contingente ONU che, dopo snervanti trattative, si allontana lasciandolo al proprio triste destino.

Il contingente olandese della Forza di Protezione delle Nazioni Unite (UNPROFOR nell’acronimo inglese), l’11 luglio del 1995, rimane sostanzialmente passivo quando i miliziani della Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina, più nota con l’acronimo Srpska, dopo un lungo assedio, s’impadroniscono della citta di Srebrenica, collocata in un territorio bosniaco-musulmano, che aveva visto l’afflusso di migliaia di sfollati musulmani dei paesi circostanti, specie dopo che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nell’aprile del 1993, l’aveva dichiarata “zona di sicurezza”. A Srebrenica è perpetrato il più grande e terribile massacro in Europa dopo la Seconda guerra mondiale: 8.372 musulmani bosniaci, uomini e ragazzi tra i 15 e i 65 anni, sono sommariamente giustiziati. Diventa nel tempo il simbolo delle violenze commesse durante tutti gli anni delle guerre jugoslave.

Il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, istituito dalle Nazioni Unite a L’Aia nel 1993 al fine di giudicare e perseguire gravi violazioni del diritto internazionale (crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio) commesse da singoli individui nel corso delle guerre iugoslave degli anni Novanta, ha proceduto contro una ventina d’imputati, pronunciando nel 2004 la prima condanna per genocidio in Europa dai tempi dei processi nazisti. A differenza di Norimberga, la pena massima che il Tribunale può erogare è l’ergastolo e non la pena di morte.  Nella sentenza di condanna di Radislav Krstić, ex generale dell’esercito della Repubblica Srpska, per la prima volta si afferma che a Srebrenica era stato commesso un genocidio. Successivamente, Ratko Mladić, ex comandante dell’esercito della Repubblica Srpska, è stato condannato all’ergastolo per lo stesso crimine nel 2017, così come l’ex presidente della Repubblica Srpska, Radovan Karadžić, nel marzo 2019.

Rinvio al riguardo non ai lunghi dibattiti processuali e ai commenti delle sentenze, ma un coinvolgente libro-testimonianza di un sopravvissuto, Hasan Hasanovic, “Surviving Srebrenica. Sopravvivere al genocidio 11 luglio 1995” (Gabrielli 2019). Hasan Hasanovic in quel massacro ha perso i suoi familiari. Dopo dieci anni di silenzio, si legge nella quarta di copertina del libro, ha cercato la salvezza della propria mente nello studio ed è diventato il “narratore” della tragedia sua e del suo popolo. Con uno stile essenziale, dalle pagine di questo libro traspare tutta la drammaticità dei ricordi; i fatti che Hasan racconta, contemporanei della vita di molti di noi, sono per le giovani generazioni un ulteriore monito a non dimenticare e ad avere il coraggio di spendersi per la tutela dei diritti fondamentali del genere umano.

Tornando alla risoluzione sulla “Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica del 1995“, occorre rilevare che ha suscitato all’interno dell’Assemblea delle Nazioni Unite un dibattito acceso, ricco di riflessioni sul tema del genocidio e sulla sua memoria. Nello stesso comunicato stampa delle Nazioni Unite si precisa in un occhiello: “Molti denunciano la natura ‘politicizzata’ del testo e notano che l’azione potrebbe esacerbare la tensioni”.

Riprendo, fra i tanti, due interventi: “Il delegato della Namibia era tra i tanti paesi che hanno dichiarato la loro intenzione di astenersi, spiegando che vogliono discutere di genocidio in modo completo e onesto. L’amnesia selettiva sta rapidamente diventando la norma” in tutto il mondo, dove “ciò che fanno i nostri nemici designati è genocidio. Ma quando noi o i nostri alleati facciamo lo stesso, non è genocidio. Ciò che è accaduto a Srebrenica, in Ruanda e in Germania con l’Olocausto è stato un genocidio, così come ciò che sta accadendo a Gaza, ricordando che ciò che è accaduto in Namibia tra il 1904 e il 1908 è riconosciuto come il primo genocidio del ventesimo secolo”.

Il riferimento è al genocidio degli Herero del primo Novecento nell’allora Africa del SudOvest, allora colonia tedesca. L’autorità coloniale del Reich, al cui vertice, troviamo Ernst Heinrich Göring, padre di Hermann Göring, che avviò l’opera di sterminio degli Herero e dei Nama, portata a termine come Endlösung (soluzione finale) – compare per la prima volta quest’inquietante termine – dell’insofferenza della popolazione nei confronti del dominio coloniale della Germania, che è il Paese che ha proposto ed elaborato la risoluzione su Srebrenica.

Infine – si legge nel comunicato stampa – il rappresentante del Montenegro, ex Repubblica jugoslava che, nel giugno del 2006, ha conseguito l’indipendenza, separandosi consensualmente dalla Serbia, “ha ricordato che i due suggerimenti proposti dal suo Paese nel preambolo miravano a sottolineare in modo chiaro e inequivocabile il carattere individuale della responsabilità per il crimine di genocidio e a impedire l’uso improprio, sia legale sia politico, della risoluzione per etichettare un popolo o una comunità come genocida. In quanto società multiculturale e multietnica. Il Montenegro dà priorità alla cultura della memoria e alle relazioni di buon vicinato, dimostrando sensibilità e comprensione per le questioni essenziali per la coesistenza pacifica”.

Carlo Felice Casula: