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Squarciare il velo dell’ignoranza

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Leggendo l’editoriale “Le Ong dei governi oppressori” sulla condizione del continente africano, al di là del merito, ho colto e faccio mia una indicazione di rotta che, quantunque apparentemente metodologica, si sostanzia di implicazioni di grande concretezza che hanno a che vedere con la vita di tutti e in ogni loro momento.

Nell’articolo viene sollevato, meglio squarciato, quel velo di ignoranza (nella formulazione di John Rawls) che risponde ad una funzione politica relativista, per la quale non sapere (o impedire di sapere) rende meno fragile la pace sociale. Ci si può accontentare e generalmente si accontenta chi ha a cuore interessi che da quello stato di ignoranza traggono beneficio, per lo più interessi economici, di potere. Non se ne accontenta chi ha a cuore la stabilità sociale nei suoi effetti sulle persone, se qualcuno vuole sugli individui, con riguardo alla relazione tra la loro condizione di vita e i comportamenti che la determinano.

Ecco, nella coraggiosa rappresentazione delle cause che si muovono vorticosamente sotto il velo dell’ignoranza a spingere l’immigrazione, le morti nel Mediterraneo, le guerre che verranno, colgo una spinta morale a legare insieme impegno e lucidità. Come dice Rosanvallon (Le bon gouvernement), “la rivoluzione della lucidità e della conoscenza è di là da venire, reclama e attende degli interpreti”. Credo, personalmente, si tratti di una rivoluzione che è interna, per intero, ai valori sociali cristiani e, dunque, deve vederci protagonisti.

È solo in questa luce che propongo una rilettura di un mio breve scritto dell’inizio del 2012, non certo a fini autocelebrativi, anzi per dire di una debolezza personale sul fronte della lucidità e della conoscenza. Eccolo: “Ho incontrato un caro amico appassionato della sua terra, per molto tempo abbandonata, e pervenutagli per via di successione. Ricordava che suo padre filosofeggiava, in virtù di memorie di famiglia, di una linea miracolosa, ricca di solidi vitigni, sani e rigogliosi, ad ogni stagione generosi di uve profumate. Affidate ad abili e leali collaboratori, le viti regalavano robusti vini gradevoli e leggeri all’inizio, e poi, con il passar del tempo, sempre più corposi ed affidabili. Di quella vigna restavano, qua e là, stanche vestigia, confuse tra molte erbacce, e la loro storia felice.

Così, mi raccontava ancora il mio amico, aveva deciso di affidarsi a persone per bene, dotate di donne e competenze, al fine di ridar vita alla sua vigna. Con lo sguardo rivolto alla storia di quei vitigni, dal cui Dna hanno fatto sgorgare nuova vita, e la volontà di dar loro la prospettiva di un rinnovato futuro, con la necessaria pazienza e applicazione, con fiducia e presenza, la vigna ha ripreso il suo antico vigore e dà frutti.

Così, più tardi, quando alcuni giovani che erano lì ad ascoltare mi hanno chiesto di provare a raccontare la difficile stagione dell’impegno politico dei cattolici ho potuto rispondere con le parole e il tono impiegati dal mio amico. Le giovani generazioni ereditano la vigna del cattolicesimo politico dopo una prolungata gelata. Qua e là, è sopravvissuto qualche buon vitigno ma è circondato da molte erbacce e i suoi frutti non vengono più raccolti perché sono insufficienti a produrre il buon vino di politiche ispirate al solidarismo, all’onestà, all’amicizia, declinate nella concretezza delle politiche economiche, sociali, dell’educazione, della cooperazione europea ed internazionale, della pace. Eppure sono loro gli eredi: gli ho detto, dovete solo recuperare il Dna; lo trovate nella dottrina sociale della Chiesa e nella Costituzione, dove le erbacce delle cattive dottrine politiche, relativiste e giustificazioniste, non sono potute arrivare.

Nella vigna del cattolicesimo politico, hanno operato troppe persone sprovviste di competenza e l’hanno rinsecchita, perché di anno in anno, di stagione in stagione, ne hanno goduto le uve del consenso, i profumi del successo, senza mai preoccuparsi di lavorarla, di custodirla, di trasmetterla integra ed efficiente. Ho detto che non è così facile il loro compito come quello del mio amico, ma con l’esperimento della volontà, innervata di fede, di carità, di amicizia e di concretezza, non sarà impossibile darvi inizio. Ho raccomandato loro di ricercare da subito le indispensabili competenze e di essere generosi e di non dimenticare che la vigna del cattolicesimo politico non ha padroni. E il primo compito che li attende, il più arduo, consiste proprio nel trovare la strada migliore per scacciare gli abusivi. Con la lezione sturziana alle spalle, opportunamente attualizzata, possono contare su una straordinaria provvista di mezzi d’azione. Infine, li ho pregati di non rigettare l’esperienza di coloro che in quel vigneto hanno mantenuto competenze lealtà per tutto il tempo della gelata.”

Ecco, seguendo questa indicazione di direzione è il momento di togliere ogni velo di ignoranza e di esser coraggiosi. Il nostro Paese, del quale ci preoccupiamo, anzi di cui abbiamo il dovere di preoccuparci, è ancora in tempo di gelata e io penso che per due decenni sia mancato al dibattito politico il sostentamento di una proposta di ispirazione cristiana. Come lo hanno scritto anche alcuni commentatori di specchiata lealtà laica, l’inabissamento, nei canali delle decisioni istituzionali, ha inaridito, addirittura, il dibattito.

Qui non si tratta di valutare primati, non si tratta di una volontà di potenza, si tratta di rimettere in circuito principi e valori che in ambito sociale ed economico, basti pensare a quelli costituzionali, hanno una funzione stabilizzatrice. Se dobbiamo temere il populismo e i loro strascichi di dolori e di ingiustizie e di fragilità, lo si deve al fatto che le decisioni pubbliche sono state quasi maggioritariamente figlie di un integralismo liberista non controbilanciato. Hanno deciso, hanno fatto, apparentemente hanno vinto, si, è vero, ma su un mare di macerie. Chiaro che non si deve cadere nello stesso errore.

I cristiani, e nel loro ambito i cattolici, non debbono scadere in un contro-delirio di autosufficienza della loro proposta politica e tuttavia debbono essere consapevoli che quando si fondono, si mischiano, si perdono in realtà organizzate, siano essi partiti o movimenti, ne accettano gli schemi statutari, né debbono rispettare le regole. Se statuti e regole e decisioni portano al disastro, seppure da minoranza, i cattolici ne sono corresponsabili. Allora il problema non è il partito dei cattolici, il problema è una formazione politica che sia coerente con l’ispirazione costituzionale che è la più equilibrata delle formule politiche di cui il paese è dotato. La conseguenza, necessaria, è di costruire una proposta coerente. Bisogna farlo in fretta e togliere ogni velo di ignoranza e stabilire il luogo e le forme del quale e con le quali riannodare l’impegno personale e la lucidità dell’ispirazione.

Alessandro Diotallevi: