Dal 2010, il 30 agosto di ogni anno, in tutto il mondo, si celebra la Giornata mondiale delle vittime di sparizioni forzate. Non si tratta semplicemente di “persone scomparse”. Secondo la Dichiarazione sulla protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate, proclamata dall’Assemblea Generale nella sua Risoluzione 47/133 del 18 dicembre 1992, si parla di sparizioni forzate quando “le persone sono arrestate, detenute o rapite contro la loro volontà o altrimenti private della loro libertà da funzionari di diversi rami o livelli di governo, o da gruppi organizzati o individui privati che agiscono per conto di, o con il sostegno, diretto o indiretto, il consenso o l’acquiescenza del governo, seguito da un rifiuto di rivelare la sorte o il luogo in cui si trovano le persone interessate o un rifiuto di riconoscere la privazione della loro libertà, che pone tali persone al di fuori della protezione della legge”. nr002500.pdf (un.org)
Persone come Mario e suo figlio Dodong, scomparsi durante i conflitti armati a Marawi: a distanza di anni non si sa che fine abbiano fatto. Quando sono spariti avevano rispettivamente 42 e 13 anni. Isabel, rispettivamente moglie e madre e dei due scomparsi, continua a cercarli nella speranza, un giorno, di riuscire a trovare almeno i loro corpi. E poter dare loro degna sepoltura.
É questo l’aspetto più tremendo che accomuna i desaparecidos con le persone scomparse: non sapere che fine hanno fatto i propri cari. Ed è per questo che le sparizioni forzate sono state spesso utilizzate come strategia per diffondere il terrore all’interno della società. Anche in Europa dove, per strano che possa sembrare, non mancano i casi di sparizioni forzate. Sono migliaia le persone di cui non si hanno più notizie. Ad esempio, durante la guerra tra Bosnia ed Erzegovina si sono perse le tracce di almeno 8mila persone e ancora oggi, dopo decenni dalla fine del conflitto, non si hanno più notizie di loro. “La legge esiste solo sulla carta. Nessuno la rispetta”, ha dichiarato Zumra Sehomerovic, vicepresidente del Movimento delle madri di Srebrenica e Zepa. “Quando ci presentiamo dalle autorità, ad esempio per ottenere un certificato che riconosca la scomparsa di una persona, ci trattano in modo sprezzante”.
Eppure si tratta di crimini gravi. Sia lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, entrato in vigore il 1° luglio 2002, RomeStatutEng1.pdf (icc-cpi.int) che la Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2006, affermano che, quando commessi nell’ambito di un attacco diffuso o sistematico diretto contro qualsiasi popolazione civile, le “sparizioni forzate” sono da considerare al pari dei crimini contro l’umanità. Questo significa, tra l’altro, che non sono soggette a prescrizione. International Convention for the Protection of All Persons from Enforced Disappearance | OHCHR
Ogni volta che si parla di sparizioni forzate le violazioni dei diritti umani sono impressionanti. Viene violato il diritto al riconoscimento come persona di fronte alla legge; il diritto alla libertà e alla sicurezza della persona; il diritto di non essere sottoposto a tortura e ad altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti; il diritto alla vita, quando la persona scomparsa viene uccisa; il diritto a un processo equo e a garanzie giudiziarie; il diritto di conoscere la verità sulle circostanze di una scomparsa; il diritto alla protezione e all’assistenza alla famiglia.
Nel 2009, in un momento in cui il numero di casi in tutto il mondo continuava ad aumentare, per richiamare l’attenzione su questo problema, il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate o involontarie propose alle Nazioni Unite di dichiarare il 30 agosto Giornata internazionale degli scomparsi forzati (in concomitanza con la ricorrenza del 30esimo anniversario della creazione del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate o involontarie). Obiettivo dichiarato “dare maggiore enfasi al diritto a non essere scomparsi”.
A quindici anni di distanza, il problema delle sparizioni forzate è peggiorato. Non sono più limitate a specifiche regioni del mondo: sono un problema globale. Secondo le stime delle Nazioni Unite sono centinaia di migliaia le persone scomparse durante conflitti o periodi di repressione in almeno 85 paesi. “Dalla Siria al Messico, dallo Sri Lanka al Gambia come in altre parti del mondo, centinaia se non addirittura migliaia di persone potrebbero trovarsi in qualche carcere segreto e molti governi si accaniscono contro coloro che cercano notizie dei loro cari. Per questo, la lotta per la giustizia non deve cessare”, ha dichiarato Salil Shetty di Amnesty International. “C’è bisogno di maggiore pressione sui governi responsabili di queste pratiche orribili perché vi pongano fine”. Già, i governi. Da anni questi crimini sono diffusi anche in governi occidentali.
Da tempo ad esempio, alcuni centri di detenzione gestiti dagli USA sono oggetto di polemiche. Durante il proprio mandato come presidente USA, Obama promise di chiuderli definitivamente. Ma non se ne fece niente. Recentemente si è parlato di questo problema anche a proposito dei due conflitti oggetto di grande attenzione mediatica: quello in Ucraina e quello nella Striscia di Gaza. Come ha detto Shetty, spesso “le sparizioni forzate sono commesse da agenti dello Stato o da persone che agiscono per conto dello Stato. La persona scomparsa, il cui arresto o la cui detenzione vengono sistematicamente negati, viene posta in questo modo al di fuori della protezione della legge e a grande rischio di essere torturata e anche uccisa. Quasi mai viene portata di fronte a un giudice e raramente vengono registrati il suo “reato” o il luogo di detenzione. Eppure di questi crimini non si parla mai. Forse solo in occasione della Giornata internazionale degli scomparsi forzati.