Fra le misure di prevenzione delle malattie infettive, tanto più in caso di situazione epidemica, il caposaldo è rappresentato dalla profilassi, in primo luogo dalla profilassi “attiva” mediante vaccinazione. Nel caso di COVID-19, nella fase iniziale della pandemia non era disponibile un vaccino. D’altronde, l’agente eziologico, SARS-CoV-2, rappresenta una nuova specie di coronavirus apparsa sulla scena ufficialmente solo nel dicembre del 2019 e il cui genoma è stato sequenziato nel gennaio del 2020, addirittura prima dell’annuncio ufficiale della pandemia.
Lo sviluppo di un vaccino nel passato ha richiesto circa 10, a volte anche oltre 20 anni. La pandemia COVID-19, con i suoi drammatici riflessi sanitari (in termini di devastante impatto sui sistemi sanitari), economici (in termini di caduta del Prodotto Interno Lordo, delle attività produttive e commerciali, dei redditi familiari) e sociali (distanzia- mento fisico e sociale, smart working), ha avuto e ha tuttora un enorme impatto su scala planetaria. Questo, unitamente alla possibilità di avvalersi della bioingegneria, della bioinformatica e delle applicazioni dell’intelligenza artificiale, ha fatto sì che, straordinariamente, nell’arco di un solo anno si sia arrivati ad allestire numerosi vaccini. Si tratta di vaccini alcuni costruiti sulla base di piattaforme classiche, inattivati o viventi attenuati, a subunità proteiche, a vettori virali replicanti e non replicanti, altri sulla base delle attuali piattaforme più avanzate, a RNA o DNA.
In particolare, è importante riflettere sul tipo di protezione conferita, se e in che misura contro l’infezione o contro la malattia. Se il vaccino prevenisse lo sviluppo di forme gravi di malattia, ma non l’infezione, lascerebbe impregiudicato il problema del contagio, per cui con l’uso di questi vaccini si ridurrebbe l’impatto sui sistemi sanitari ma non si potrebbe pensare di arrestare la trasmissione e tanto meno di eliminare l’epidemia attraverso lo stabilirsi di un’immunità “di gregge”.
Importante è poi la questione delle terapie. Gli anticorpi monoclonali sono prodotti industriali ma non di sintesi: si procede partendo da prodotti naturali, gli anticorpi neutralizzanti, individuati nel siero dei soggetti guariti e questi, mediante processi di clonazione intensiva, vengono riprodotti in grandi quantità. Alcuni di questi prodotti hanno ottenuto la registrazione da parte dell’FDA e dell’EMA con l’indicazione per il trattamento. Un problema è l’elevato costo di produzione, per cui gli anticorpi monoclonali possono verosimilmente essere destinati solo ai Paesi a elevato reddito. Tuttavia, la produzione di “biosimilari” consentirà di ridurre drasticamente i costi (come avviene per i farmaci “generici” o “equivalenti”) e renderli accessibili anche ai Paesi a economia intermedia o bassa (dove vive l’85% della popolazione mondiale). In India e in Cina sono da tempo attive numerose companies con vaste capacità produttive di biosimilari. Di fatto, tuttavia, l’impiego degli anticorpi monoclonali non rappresenta una soluzione praticabile per una profilassi passiva, se non per circostanze speciali, rappresentate fondamentalmente da soggetti immunocompromessi esposti a particolari situazioni di rischio.
Si parla correttamente di profilassi pre-esposizione (pre-exposure prophylaxis, PrEP) che viene attuata con l’impiego, eventualmente in combinazione, di anticorpi monoclonali, specie in formulazione long-acting intramuscolare. Certamente più attuabile ed effettivamente praticato è l’impiego di monoclonali in strategie di profilassi post-esposizione (post-exposure prophylaxis, PEP), la cui efficacia è dimostrata se somministrati entro 3-5 giorni dalla comparsa dei sintomi o, ancor meglio, dal contatto stretto con un caso di COVID-19 confermato o sospetto. La stessa strategia viene perseguita con l’impiego di farmaci antivirali: da tempo attuata con l’impiego di Remdesivir, due antivirali specifici, Molnupiravir e Paxlovid, sono stati registrati del tutto recentemente. Nelle situazioni in cui si rilevasse il fallimento di queste strategie di prevenzione non resta che l’arma finale: il lockdown, con le pesanti conseguenze economiche e sociali che l’adozione di questa strategia comporta. E di cui stiamo avvertendo ancora gli effetti sul tessuto socio-economico nazionale e mondiale.