In questi giorni stiamo assistendo alle Olimpiadi di Tokio. Pochi sanno che le Olimpiadi o giochi olimpici iniziarono nel 776 a.C. in tono dimesso e domestico. Le Olimpiadi furono dall’inizio feste religiose e si svolgevano in Grecia e precisamente ad Olimpia, città dalla quale presero il nome. Il gioco più antico era la corsa a piedi. Il significato era ed è la ricerca della perfezione fisica nelle varie discipline, fedeli al detto “mens sana in corpore sano“ ma in realtà alle Olimpiadi originarie si sono poi aggiunte le paralimpiadi che sono riservate ad atleti con disabilità.
E quindi direi che il vecchio detto è stato archiviato perché l’uomo è tale non nella sua perfezione fisica ma nella sua interezza di essere destinato alla immortalità e non solo grazie al corpo e alle sue imprese ma soprattutto grazie all’anima. E debbo dire che io guardo sempre le Paraolimpiadi con maggiore interesse delle Olimpiadi perché amo profondamente questo meraviglioso essere chiamato uomo o donna, a cui la vita assegna le varie stagioni e che riesce a sorprendermi in ognuna di esse.
Quando vedo le mie foto da ragazzo e non avevo subito le “angherie“ dei pasti succulenti e qualche bevuta di troppo, vedo questo mio corpo e lo amo così come provo affetto per quello che sono oggi, per i capelli che non ci sono più e per quella tartaruga che negli anni si è capovolta. Ma è questo l’uomo?! Ammiriamo la possenza in questi ragazzi che arrivano sul podio dopo aver pianto come bambini, magari prima rotolandosi a terra, pronunciando in lacrime le parole: “Mamma ce l’ho fatta“. Che cosa ci spinge a stare ore in TV non potendo essere sugli spalti a seguire i nostri campioni? Ognuno di noi predilige uno sport: mia mamma, anche da simpatica vecchierella passava le nottate a vedere il pugilato, io adoro la corsa e la scherma. Ma quello che più mi attrae del campione è quel vissuto che lo segue sulla pista o sulla bici, in acqua o mentre volteggia nell’aria, quando con le mani nude cerca di mettere a terra l’avversario o con il fioretto cerca di colpirlo. E quello che mi emoziona è il momento in cui termina la competizione quando vedo i due atleti abbracciarsi e commuoversi entrambi. Perché in quel momento un osservatore attento vede il barlume di tristezza nel vincitore mentre guarda e abbraccia il vinto. Perché solo uno dei due sarà il numero 1 e degli altri, troppo spesso, si perderà la memoria.
Eppure quante sono le varianti in una competizione? Uno stato di disagio causato dalla morte improvvisa di una persona che si è amata, una notte agitata, un malore. In pochi minuti si bruciano cinque anni di sacrifici non solo dell’atleta ma anche della famiglia. Perché dietro ogni atleta c’è un padre ed una madre, un fratello, una fidanzata. Io ho avuto in famiglia un atleta: mio fratello è stato culturista e sollevatore di pesi. E quanti sacrifici ho visto fare a quel ragazzo che non aveva preparatori atletici o gruppi sportivi. I pesi di ferro cedevano il passo a gettate di cemento perché i pesi si facevano a poco prezzo e in casa. Gli anelli erano appesi ad una trave del soffitto e la sera vedevo i miei due fratelli volteggiare su e giù ed io, bambino, ammiravo i loro corpi scolpiti ed ero impressionato dalla loro forza mentre si sfidavano a braccio di ferro. Non vi erano arbitri, ma a dettare leggi e regolamenti c’era mio padre e quando vedevo che la competizione diventava troppo accesa correvo a chiamarlo e l’arbitro sedava ogni disputa con un urlo. Ma quanti sacrifici anche nell’alimentazione. Ricordo che Marino si faceva cucinare al mattino l’albume (che fa senso pure a vederlo) e troppo spesso chiedeva le fettine di pollo pranzo e cena. E le fettine costavano.
Mentre la TV ci presenta gli atleti in questi giorni io rivedo i miei fratelli in soffitta o correre nei campi attorno casa, poi la misurazione del torace. la sera. Questi atleti che torneranno vincitori molto probabilmente non avranno più problemi per il futuro ed i genitori potranno magari non ipotecarsi la casa per sostenerli, ma pensate ai tanti che tornano sconfitti… Eppure ho visto tanti di loro ad aspettare il n.1, ad abbracciarlo e a piangere di gioia con lui. Queste sono le Olimpiadi, quelle vere, quelle dei vincitori e dei vinti o le Paraolimpiadi, quelle in cui anche un corpo cosiddetto imperfetto riesce a dare il massimo di sé stesso. E gli occhi degli atleti ed il sorriso, guardateli, sono tutti uguali.
Ieri ho anche letto: ma che significato ha avere un gruppo sportivo per una forza di Polizia? Io credo che il significato arrivi dall’esempio, dalla capacità di sacrificarsi e magari restare nel Corpo perché pur atleta si è arrivati secondi e magari passare ai corpi speciali. Ho avuto tante occasioni di parlare a giovani in uniforme o ragazzi nelle scuole. Praticate lo sport, dicevo. Chi fa sport non ha tempo da perdere, non può passare le notti in discoteca. Chi fa sport deve camminare, correre, nuotare, alzare pesi, fare ore ed ore di palestra. Lo sport è vita, sicuramente. Onore a tutti i nostri sportivi. Primi e secondi, e anche non classificati. Solo chi si cimenta in una competizione riesce ad arrivare primo. Chi non può farlo può comunque vivere rubando qualche sogno. In questo caso non è disdicevole farlo. E per le paralimpiadi di Tokyo 2020 l’appuntamento è nella capitale del Giappone è dal 24 agosto al 5 settembre 2021. I più grandi campioni dello sport disabile si sfideranno in 22 discipline paraolimpiche. E credo che una medaglia questi atleti l’hanno già vinta, partecipando.