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Se la scuola ha bisogno di una nuova forma, non riforma

In questo 2020 mi auguro che i ragazzi trovino una nuova scuola. La nostra ha un'impostazione di base che non si discosta molto da ciò che è stato tracciato dalla Riforma Gentile. Lo si vede nella suddivisione delle classi e degli spazi di apprendimento, nell'impossibilità, da parte dello studente, di personalizzareun piano di apprendimento. Lo dimostra anche il fatto che nelle nostre scuole è prevalente una didattica frontale, con un professore che spiega le cose mentre tutto il resto del mondo sta andando verso una didattica collaborativa, dove gli studenti  apprendono insieme accompagnati dal docente. Anche le materie sono suddivise in maniera rigida: oggi sappiamo che la direzione del mondo è contraria. 

Questa scuola riflette le impostazioni di inizio Novecento e le necessità di quel mondo, estremamente statico e rigidamente diviso dai confini dov'era importante la nozione a dispetto di un sapere odierno più fluido, liquido, dove l'informazione nozionistica è qualcosa di già acquisito, perché vai online e trovi tutto ciò che ti serve. Il problema della scuola italiana è che non c'è un vero rinnovamento di questa struttura, nonostante le riforme fatte nel corso degli anni.

I dati Invalsi attestano che la scuola è ridotta a un colabrodo dal punto di vista dell'apprendimento. I ragazzi promossi sono, infatti, molti di più rispetto a quelli che dovrebbero essere promossi. Ci sono percentuali altissime di ragazzi che non raggiungono i minimi livelli di comprensione di un testo scritto, abilità matematiche, comprensione e ascolto della lingua inglese. Si tratta di competenze che dovrebbero essere raggiunte secondo le indicazioni date dal Ministero dell'Istruzione. Fortunatamente, grazie all'Invalsi, abbiamo strumenti in grado di accorgerci di questo. 

Poi ci sono punte di eccellenza, che permettono di creare talenti e cervelli che vengono valorizzati poi all'estero. Il nostro problema oggi non è avere quelle poche eccellenze per dire che il nostro sistema funziona, ma cercare di arginare un fenomeno sempre più ampio, che è quello dei Neet: circa 2 milioni di giovani tra i 18 e i 34 anni che non lavorano, non sono solo un problema occupazionale, perché i dati ci dicono che ci sono centinaia di posti di lavoro per i quali si fa fatica a reperire delle competenze. In alcune regioni del Sud la dispersione scolastica e gli scarsi livelli di apprendimento degli studenti stanno creando generazioni di persone inabili da un punto di vista culturale e lavorativo. 

Vent'anni fa la Finlandia versava in condizioni peggiori, poi ha avuto un radicale cambiamento. Per farlo in Italia, bisogna progettare una riforma che abbia un impatto a lungo termine, che duri circa vent'anni. Invece, ogni governo cambia la sua linea di indirizzo. L'unico governo che  ci è riuscito è stato sotto il fascismo, con una riforma radicale. In seguito, si è sempre andati a tentativi. 

Il mio augurio – un'utopia – è che l'Istruzione venga trasformata in un'agenzia governativa, indipendente dalla politica, che operi in maniera autonoma. Se continuiamo così non saremmo in grado di fare una riforma a lungo termine. Anche perché nella nostra scuola ci sono dei limiti strutturali. Innanzitutto, perché il Ministero dell'Istruzione non ha più controllo sui docenti e sul personale. L'obbligo della formazione, inoltre, c'è ma è discrezionale perché non si hanno strumenti di “standardizzazione” delle politiche educative. Un ultimo punto riguarda gli edifici scolastici: scuole primarie e secondarie sono in mano ai Comuni, le superiori alle province. Il vero problema dell'erogazione dei fondi è che non tutti questi fondi vengono spesi perché gli enti locali non sono in grado di presentare un progetto. Abbiamo, dunque, bisogno del coraggio di una discontinuità per superare un sistema irrigidito. 

Daniele Grassucci

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