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A che punto siamo quando parliamo di Intelligenza Artificiale a scuola? Per parlarne con cognizione di causa abbiamo coinvolto Alfredo Petralia, educatore digitale e docente di Informatica presso l’Istituto Salesiano San Francesco di Sales di Catania, la cui esperienza presenta il doppio vantaggio di chi sta a contatto tutti i giorni con gli studenti e di chi sperimenta con passione in questo ambito, oltre a tenere corsi sull’argomento. “Spesso nelle scuole italiane il dibattito sull’uso dell’intelligenza artificiale si ferma alla diatriba docenti/alunni su chi abbia copiato cosa da ChatGPT o da altro. Purtroppo è una visione errata e molto limitata di quanto sta accadendo; non parliamo infatti di un semplice strumento didattico come può essere un traduttore o una calcolatrice, ma di una nuova tecnologia che sta già cambiando il mondo e comincia a far parte del bagaglio culturale degli alunni, almeno della scuola secondaria. Quest’ultimi dovrebbero capire che il loro intelletto è nella piena fase dello sviluppo e che non possono delegare ad una macchina l’elaborazione e l’espressione del pensiero. Lo sappiamo tutti che è più comodo chiedere ad un sistema LLM (ChatGPT o simili) il commento di un testo letterario o la traduzione di un brano, ma a loro non resterà niente; invece è importante che a quest’età si debbano sforzare per creare e assemblare idee da esporre nel modo più corretto e che contengano anche il loro punto di vista, i loro sentimenti e non si accontentino di una fredda – per quanto corretta – narrazione dei fatti”.
I docenti d’altro canto devono essere i primi a trasmettere questo messaggio imparando essi stessi i vantaggi dell’uso dell’IA sia nella parte amministrativa che in quella didattica. “L’utilizzo di una chatbot – continua Petralia – può rendere più semplice e accattivante lo studio o il ripasso di un personaggio storico e delle sue opere o imprese. Speriamo che la scuola italiana possa cogliere questa opportunità, senza dannose esagerazioni, ma dando il giusto peso a questa innovazione epocale”. Per essere ancora più concreti e andare in profondità – poiché più che gli aspetti tecnici contano le basi etiche e valoriali – il nostro esperto condivide un’esperienza interessante che ha narrato sul sito tematico www.palestraperlamente.org: “Da qualche giorno OpenAI ha lanciato l’ultima versione di ChatGPT. Incuriosito dalle nuove caratteristiche, ho approfittato di un’ora libera a scuola per dialogare con il nuovo modello linguistico. All’inizio ho voluto farlo simulando una discussione con una cara amica, facendo una serie di domande anche personali e provando ad analizzare le risposte. Nulla da eccepire sui contenuti sempre pertinenti e corretti, ma è chiaro che chi ha paura di questi sistemi dimentica o forse non ha mai provato la capacità empatica di un essere umano: la complicità di due amici che, lasciando stare i contenuti, provano sentimenti, emozioni, si conoscono e sulla base di questo background non mettono parole una dietro l’altra, ma costruiscono rapporti, perché le parole non devono essere semplicemente corrette e nel dialogo umano tra gli errori possono nascondere emozioni e sentimenti. In questo caso non mi interessa che il mio interlocutore sia grammaticalmente corretto o affidabile, vorrei fosse vero con tutti i pregi e i difetti della sua imperfezione umana anche a rischio di litigarci”.
È evidente che siamo di fronte ad un cambio epocale e che questo strumento, a cui è connesso lo sviluppo di sistemi di IA, in vari contesti muterà il mondo. La questione è “quando”, ma anche “quanto” dipenderà da noi? “In tante zone del mondo sistemi avanzati come questo – conclude Petralia – potranno sostenere formazione e cultura dove la scuola è più carente. Una cosa però è avere sistemi di dialogo e interazioni utili, un’altra è cercare di sostituire la presenza umana in determinati contesti con le macchine (NdR. Per esempio una scuola senza docenti), perché magari ci dà fastidio andare dalla nonna che però non è più sola in compagnia dell’ultima versione di robot. La capacità emozionale degli esseri umani, al momento e spero per sempre, è un’altra cosa; tenersi per mano, guardarsi negli occhi e tutte le altre forme di comunicazione non verbale fanno parte della nostra relazione umana e non dovremmo permettere a nessuno di sostituirle”.
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