Il 2020: vent’anni dalla Legge sulla parità. Avevamo programmato tutto: i convegni per ricordare l’importante anniversario, le sale nei più prestigiosi teatri per raccontarci che cosa non ha funzionato. Le agende dei padri e delle madri della legge sulla parità erano fitte di impegni. Eventi celebrativi, autoanalisi, eravamo tutti pronti a raccontarci i soliti argomenti, con gli articoli della Costituzione passati al setaccio. Solita prassi, solita liturgia.
Ma la realtà, come spesso accade, ha superato la fantasia: è arrivato il Covid che ha sparigliato tutto. La pandemia, per un verso, ha portato ciascuno di noi a prendere consapevolezza che non c’è più il tempo per le dissertazioni, per un altro ha portato tutti i nodi al pettine, rendendo evidenti i limiti atavici del sistema scolastico italiano. Eccone una sintesi.
Il sistema scolastico italiano, rispetto al modello europeo, mette al centro la scuola statale, non lo studente. La scuola paritaria è abbandonata al suo destino.
Questo, oltre ad aver reso il sistema scolastico iniquo, come abbiamo ampiamente argomentato, è la causa delle performance negative di tutto il sistema scuola: analfabetismo crescente, neet, parodia dell’integrazione, povertà culturale. Essendo però performance negative che toccano la testa e non la pancia erano, tutto sommato, tollerabili.
Per dirla semplicemente: i beni primari in realtà catalizzano ancora la nostra attenzione. D’altronde che si muoia di pandemia come si muoia di povertà culturale (che produce miseria) è chiaro a tutti, ma l’effetto immediato della prima, rispetto alla seconda, ci fa vedere il pericolo lontano e non ce ne diamo pensiero.
Le energie del benefattore sono tutte concentrate nel dare un pezzo di pane, il pezzo di libertà è secondario, una cosa per ricchi. I radical chic si preoccupano della testa, l’impegno sociale chiede di preoccuparsi della prima accoglienza, di sfamare. Poi certo, ci facciamo consegnare a casa la cena proprio da quegli immigrati che abbiamo salvato per essere sfruttati e sottopagati. Tolleriamo il bambino senza libro, quello senza cibo assolutamente no! Ma è intervenuto il Covid che, come un cigno nero, ha fatto scontrare le nostre priorità con la realtà. E si è imposta la domanda: si muore solo di fame o anche di deprivazione culturale?
Tutte quelle parole altisonanti quali autonomia, parità, libertà di scelta educativa, pluralismo, con il Covid hanno assunto la veste della realtà: questo ha agevolato la presa di coscienza del problema. L’affermazione che il pluralismo garantisce un sistema più equo e di qualità è risultata evidente con la dad: impietosi i numeri degli esclusi, 1.600 mila allievi poveri, 300mila disabili.
Ma è stato altresì evidente, quando abbiamo capito che la scuola, colpita dal Covid, in Europa è ripartita progressivamente, in Italia è ripartita dopo 200 giorni per tornare ad essere chiusa dopo poco. In Italia la chiusura della scuola viene utilizzata come il vaccino: decresce la curva dei contagi e si apre, cresce e si richiude. Allora è evidente che la scuola in Italia ha chiuso non causa Covid ma per i tre grossi limiti che erano lì presenti da 20 anni: carenza di aule, mezzi di trasporto e organico.
Tre grossi limiti che hanno una causa comune: sovra utilizzo delle scuole statali, sottoutilizzo delle scuole paritarie. Problema tipico del Paese Italia. Ecco perché la scuola, partita a singhiozzo e a macchia di leopardo, è stata nuovamente chiusa. Il Covid ha rappresentato un’operazione verità, rendendo evidente a tutti, dai cittadini alle istituzioni, che sono questi i tre punti sui quali intervenire. Un utilizzo corretto e congiunto delle 40 mila sedi scolastiche statali e delle 12 mila paritarie risponde in un solo colpo ai tre grossi problemi.
Lungo gli anni la scuola è stata considerata un ammortizzatore sociale
La scuola ha rappresentato un bacino di voti per la politica e di tesseramenti per i sindacati che promettevano per tutti i docenti il posto di lavoro fisso, a tempo indeterminato, per la propria cattedra, vicino alle proprie abitazioni. Quante promesse! Abbiamo ampiamente argomentato che era un falso. Ma è servito il Covid a compiere questa operazione verità che è suonata in modo impietoso: “carenza di organico”.
Una carenza decennale ma che il Covid ha reso evidente senza alcuna finzione. Mancano più di 150.000 docenti e il 90% dei disabili (285mila allievi) è senza docente di sostegno assegnato. Complessivamente il 15,7% dei docenti in servizio è precario: come dire che c’è un precario ogni 6-7 insegnanti in servizio. Da qui l’insicurezza e l’instabilità per un enorme numero di persone, la provvisorietà e la discontinuità didattica per tanti studenti.
Ma prima del Covid risultavano dissertazioni per pochi eletti, per i ricercatori, quindi da affrontare nei queruli recinti di Pallade… Intanto si prometteva agli esiliati la mobilità, tralasciando il particolare non proprio secondario che la punta di maggior precariato è al Nord Est, mentre al Sud c’è “soltanto” il 10,7% di precariato (un precario ogni 10 insegnanti), con la punta minima della scuola primaria ferma al 4,5%. La Campania risultava la regione con meno precari, con il 9,3% (la scuola primaria al 3,4%).
Ma i docenti credevano a queste promesse seppur degli 8Mln di studenti, più di 1 milione e 400mila allievi sono in Lombardia, su 7.770 scuole, mentre 285 mila allievi sono in Calabria su 2.700 scuole.
Insomma era evidente, anche prima del Covid, che i docenti e le cattedre non si trovavano nella stessa città, però i 20mila esiliati credevano al rimpatrio. Ci ha pensato la pandemia: la chiusura delle Regioni ha rappresentato un deterrente per i docenti meridionali molto meno disposti a trasferirsi a Milano, pur di poter avere punteggio, complice la vita più costosa, insostenibile con lo stipendio di 900 euro (tanto guadagna un docente neoassunto), impossibile pagarsi vitto e alloggio al Nord.
Quindi i docenti non si spostano, quelli che possono rientrano a casa, lasciando le cattedre scoperte nei giorni 21 e 22 dicembre, tanto un giorno in meno cosa cambia per una generazione che ha perso due anni scolastici, con la perdita di un patrimonio culturale senza precedenti? Assurdo a pensarci bene. La pandemia ha pertanto imposto l’urgenza di redigere un censimento, che dettagli il numero dei docenti, la cattedra, la residenza e l’indicazione delle scuole, la località.
Si giungerà a dire chiaramente ai docenti che, per insegnare, dovrebbero forse cambiare cattedra, ritornare sui banchi di scuola (mancano docenti di matematica e inglese) e trasferirsi in modo permanente in un’altra città. Il Covid, come solo le tragedie sanno fare, impediscono le promesse e, soprattutto, le false credenze. La realtà è stata svelata.
Il Covid ha presentato una sfida educativa senza precedenti che le scuole statali e le scuole paritarie hanno raccolto ma non hanno vinto.
Per vincere la sfida educativa alla scuola statale occorre una autonomia organizzativa, che diventa autonomia didattica, e alla scuola paritaria libertà. Ne abbiamo lungamente argomentato in punta di diritto e di economia ma è servito il Covid per rendere chiare queste necessità. La legge sull’autonomia e la legge sulla parità si sono imposte in tutta la loro forza normativa ma anche nella loro assoluta incompiutezza. Il covid ha indicato la terza strada da percorrere, ossia creare i presupposti per dare le gambe a queste due leggi.
Gli 8.500 euro che i contribuenti pagano per ciascuno dei 7Milioni di studenti che frequentano la scuola statale non servono allo studente.
Questi danari non sono impiegati né nel personale docente (carenza di organico e docenti sottopagati ne sono la prova provata), né nelle strutture ormai fatiscenti. La scuola che costa 8.500 euro non è riuscita a ripartire per tutti gli studenti e non riparte. La scuola paritaria, al contrario, che costa 500 euro di tasse dei cittadini, non solo rappresenta il primo benefattore dello Stato Italiano, nella logica della sussidiarietà al contrario, ma ha chiaramente dimostrato che con un costo di 5.500 euro riparte e riparte alla grande per tutti.
Per logica conseguenza il Covid ha chiarito alle famiglie e ai contribuenti che il costo di un allievo è di euro 5.500, con il risultato che la scuola di qualità è ripartita per tutti con un personale docente ben pagato. Conseguentemente i contribuenti hanno capito che quegli 8.500 euro foraggiano la burocrazia che si nutre dello spreco. Da qui si evince l’assurdità di quel ritornello senza oneri per lo stato: non solo il ritornello era un falso ma rappresentava una scusante per lo spreco, per interessi terzi dei poteri forti che facevano dell’inganno nei confronti della povera gente che ci ha creduto la propria fortuna.
Ecco il Covid ha imposto che la quota capitaria di 5.500 euro, per gli 8 Mln di studenti, ristabilisce la libertà di scelta educativa della famiglia e, contemporaneamente, fa ripartire la scuola di qualità, oltre a far risparmiare tanti danari. E lo Stato si ritrova soggetto garante della buona scuola come in tutta Europa. Abbiamo lungamente parlato di questi argomenti: ora vogliamo solo fare una sintesi e così tracciare le consapevolezze raggiunte per delineare le azioni future.
E quali dovranno essere? Eccole: nuove linee di finanziamento del sistema scolastico, censimento dei docenti, autonomia alla scuola statale e libertà alla scuola paritaria, nient’altro che le consapevolezze che il Covid ci ha permesso di acquisire con quella rapidità e forza che solo le disgrazie riescono a fare. E’ una realtà drammatica ma, senza una simile tragedia, non avremmo mai maturato questa consapevolezza.
Ripartire dalla verità
Il rischio della catastrofe educativa ora ci impone di ripartire da questa verità, puntando sulle risorse del recovery fund, per investire seriamente sulla scuola secondo il percorso tracciato, agendo con la più ampia e solida trasversalità politica costruita, in collaborazione con le singole regioni. E in Italia abbiamo dei modelli virtuosi cui guardare, come la Lombardia e il Veneto.
Questo è il lavoro che ci aspetta nel 2021 e che porteremo a compimento perché abbiamo capito che, affinché i genitori possano esercitare la propria responsabilità educativa in modo consapevole, devono essere liberi. Se ciò non dovesse accadere, si determinerebbe una gravissima perdita del patrimonio culturale, una perdita senza precedenti, dopo il secondo conflitto mondiale. Elemento ancor più pernicioso, si intravede il rischio di trasformare il diritto all’istruzione in un privilegio che esclude poveri e disabili.
Questo allarme ci è risultato così chiaro che ci ha posti tutti quanti su un binario nuovo, un binario che ora dobbiamo percorre, assieme, nello stesso verso, sino in fondo. Solo così, potremo vincere, meglio: vincerà lo studente, vincerà la famiglia, vincerà il cittadino. Benvenuto 2021!