Anche questa volta, l’emergenza virus ha fatto politica, hanno funzionato il bastone delle chiusure variopinte e la carota dei ‘’ristori’’. Sono bastati alcuni giorni per passare alla rivendicazione di maggiori ristori dalla protesta – anche violenta – per la messa in quarantena di attività economiche che non avevano alcuna responsabilità (o almeno non era dimostrata) nell’impennata della curva dei contagi e che dopo il lockdown avevano sostenuto in proprio gli oneri della messa in sicurezza secondo le disposizioni di legge (anzi di dpcm).
Pur con tutte le tensioni sociali che attraversano la società, il Paese vive – come afferma una canzone del grande Lucio Battisti – una ‘’sensazione di leggera follia’’: finalmente è consentito spendere quanto è necessario, senza preoccuparsi dei vincoli di bilancio. Se le risorse in deficit non bastano, se si devono finanziare altre settimane di cig-Covid (per continuare a bloccare i licenziamenti) oltre le originarie previsioni, c’è sempre la possibilità di chiedere ed ottenere dal Parlamento un altro scostamento di bilancio. Ormai ci sta anche l’opposizione; le sue eventuali critiche non riguarderanno l’an, ma il quantum e il quomodo.
Non sono trascorse molte settimane da quando il governo stesso sulla Nadef ha tracciato un quadro poco rassicurante sul futuro. ‘’ Passando al debito pubblico, la proiezione aggiornata secondo la Nadef – si basa sui nuovi dati di contabilità annuale pubblicati il 22 settembre dall’Istat, i quali hanno comportato una moderata revisione al rialzo del PIL nominale degli anni 2018 e 2019. Alla luce di questi nuovi dati, il rapporto fra debito lordo della PA e PIL è risultato pari al 134,4 per cento nel 2018 e al 134,6 per cento nel 2019. Nel 2020, la forte espansione di bilancio, l’inedita caduta del PIL nominale e l’impatto di alcune operazioni finanziarie spingeranno il rapporto debito/PIL al 158,0 per cento.
Per i prossimi anni – spiega il documento di finanza pubblica – lo scenario a legislazione vigente prefigura una discesa del rapporto debito/PIL pari in media a quasi due punti percentuali all’anno nel 2021 e 2022, e poi una riduzione più lieve nel 2023, anno in cui tale rapporto scenderebbe al 154,1 per cento. La riduzione del debito in rapporto al PIL, pur rilevante nei primi due anni del periodo, non sarebbe sufficiente a soddisfare la regola di riduzione del debito in nessuna delle sue configurazioni’’.
Il fatto è che – quando la Nota di aggiornamento del Def è stata elaborata, presentata, discussa ed approvata – non ci era caduto di nuovo il mondo addosso, con la ripresa di un’emergenza sanitaria che, in breve, rischia di mettere in crisi la struttura ospedaliera, la quale, come a marzo, rimane il solo presidio contro la pandemia, perché la medicina territoriale non è ancora in grado di fare da filtro intercettando i casi che possono essere curati a domicilio.
In sostanza, quelle previsioni lugubri sono state superate da una situazione sanitaria che ha imposto altre restrizioni. Prima o poi occorrerà porsi una domanda molto cruda sul piano etico-politico: le coorti più colpite (si veda la tabella) sono quelle degli anziani (è un eufemismo che si usa perché la parola ‘’vecchi’’ non è ritenuta politically correct). Ma sono i giovani a pagare il costo più elevato, in senso esistenziale, delle misure di contenimento. Chi scrive è a un passo dagli 80 anni e si chiede sempre più spesso: ‘’Che diritto ho io (con quelli delle generazioni prossime alla mia) di pretendere che il monda vada in malora, soltanto per rubacchiare qualche anno di vita in più?’’.
In un’Italia che vanta il record dell’invecchiamento, in una Europa dove ci siamo concessi – al limite dell’eugenetica – un diritto di vita e di morte sui futuri nascituri (sono all’esame in altri Paesi nuove discipline dell’aborto che vanno oltre non solo del principio della maternità responsabile, ma anche di una politica del controllo delle nascite) è moralmente discutibile dissipare un domani che non ci appartiene. Sarebbe molto più umano ricordare con Epicuro ‘’in necessitate vitae vivere non necesse’’. Matusalemme non può trasformarsi in Erode.