Fino a lunedì 27 aprile non si potevano nemmeno acquistare quaderni e matite per i figli scolari. Ma in compenso i nonni accedevano, come sempre, nelle tabaccherie e si rifornivano degli “essenziali” Gratta e Vinci. Uno dei paradossi, pressoché sfuggiti a rilievi e commenti, nelle settimane del lock down. Comunque, ancora per chissà quante settimane (forse fino agli ultimi giorni di primavera) seguiteremo a non concederci un caffè al banco del bar preferito. Al massimo un cameriere ce lo consegnerà sulla soglia, versato in una tazzina monouso. La normalità è ben lungi dal venire riguadagnata.
I gruppi di pressione (ripetiamo: momentaneamente bloccati) avevano fatto risaltare come in una “rivendita di generi di monopolio” con annesso bancone del bar, prima sarebbero ripartite le macchinette e poi, semmai, si sarebbe concesso un fugace sorso di cappuccino. Una bella scarica di emozioni per le estrazioni e a seguire al display degli apparecchi. L’episodio è istruttivo, giacché si era provato a forzare invece i tempi per riaccendere l’industria della patologia. Scena da teatro dell’assurdo. Non l’unica.
Si comprendono le motivazioni del tentato colpo di mano. Dopo parecchie settimane di astinenza, spontaneamente in molte persone infatti è regredito il disturbo da gioco d’azzardo (DGA) come l’etichetta delle autorità sanitarie denomina oggi le patologie correlate. Con lo spegnimento delle macchine e la chiusura degli accessi, si è avuto un corollario positivo della generale sofferenza per l’ “Io resto a casa”. Va ricordato che nel dicembre 2019 era pervenuta al culmine della sua performance – 110 miliardi e mezzo di euro, 120 milioni di giornate lavorative spese dai consumatori piazzati nelle svariate postazioni – l’industria del gambling. Come quasi tutti i business, anche quest’ultimo ha incrociato il Cigno Nero, la creatura dalla fisionomia ritenuta impossibile sulla faccia della terra.
E qui sorge un quesito semplice e dirimente: mentre milioni di famiglie si schiantano nell’improvvisa trappola della povertà, è davvero concepibile che a breve lo Stato rilasci i permessi per far disseminare di ulteriori trappole di povertà i percorsi quotidiani delle popolazioni?
Guardiamo alla struttura di questo “mercato” dei giochi: si basa su un comportamento divenuto “di massa”, industrialmente prodotto e incentivato, che si è via via collocato al centro dell’organizzazione della quotidianità per decine di milioni di persone.
La conseguenza è che nell’economia nazionale il gioco non produce un indotto di valore aggiunto, poiché esso è un consumo puramente dissipatorio, che non riversa dunque domanda aggiuntiva di beni e di servizi su altri settori economici. Tutto all’opposto di quanto accade nei normali consumi, che costituisco un volano per stimolare la crescita, divenendo un moltiplicatore positivo dell’economia. Il gioco, all’opposto, produce solo altro gioco senza un valor d’uso: un “moltiplicatore negativo”. E’ accettabile questa dinamica nell’Italia prostrata dalla pandemia del Covid-19?
A peggiorare le conseguenze vi sono gli effetti psicologici dell’azzardo. Li si possono individuare nell’imporre un’alternativa illusoria all’azione costruttiva per accedere al reddito. Quando si riduce la credibilità della risposta attiva al bisogno (appunto nei periodi di disastro economico, come l’attuale) allora aumenta la forza attrattiva della fortuna al gioco. Viceversa, se si promuovesse una riscossa dell’economia reale, tutta la collettività muoverebbe alla ricerca di soluzioni non aleatorie.
Accanto all’impatto sull’economia, vi è da contabilizzare gli effetti sugli interventi di assistenza sociale e, in generale, di welfare, insieme all’interferenza sulla gestione amministrativa delle città. E qui c’è da rilevare una novità degli ultimi anni: l’avvio di una consapevolezza nelle comunità locali e nei Comuni. Aumentano di mese in mese le manifestazioni di reclamo da parte delle Amministrazioni comunali.
In conclusione, una politica economica per uscire da una Grande Depressione dovrebbe perseguire un disegno di modello coerente, a partire dalla disamina oggettiva (e spietata) delle capacità produttive del Paese, della composizione attuale della domanda di beni e di servizi, passando in rassegna le varie componenti, distinguendo quelle dove vi è contrazione o caduta, quelle che tengono o addirittura crescono, ponendo il tutto in relazione con tre fondamentali variabili: il conto economico delle attività nazionali (direttamente produttive e servizi destinati alla vendita); l’andamento dell’occupazione; indebitamento e deficit delle imprese private e delle famiglie.