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La scommessa dell’Italia di porsi come interlocutore tra Israele ed Egitto

Ecco, in effetti la politica estera, in forma organica e strutturale, mancava dall’orizzonte temporale della politica di casa nostra. Mancava non tanto per assenza di temi, quanto per un evidente deficit di figure istituzionali, a partire da coloro che, in questi anni, hanno occupato la Farnesina. Con l’arrivo del nuovo governo il cambio di strategia non è stato solo necessario, ma imposto dalla necessità di riannodare i troppi fili spezzati da visioni distorte e interessi ambivalenti dei precedenti esecutivi, facendo eccezione per Mario Draghi, unico caso di premier a svolgere personalmente le funzioni di ministro degli Esteri, con una chiave interpretativa del tutto personale, più che personalistica, ma dai risultati concreti.

Non a caso il governo Meloni è ripartito da lì, dai fili da riannodare. All’inizio della scorsa settimana, la visita in Israele di Ignazio La Russa, presidente del Senato. Giovedì e venerdì scorsi, la visita a Roma del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per un forum con le aziende italiane e Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, e un pranzo di lavoro con Giorgia Meloni, presidente del Consiglio. Infine la missione di Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, a Gerusalemme, Tel Aviv e Ramallah. In mezzo, i colloqui telefonici tra Netanyahu e i leader degli altri due principali partititi della maggioranza del governo Meloni, cioè Matteo Salvini della Lega, che è anche l’altro vicepresidente del Consiglio, e Silvio Berlusconi di Forza Italia. Tutte mosse quelle sin qui elencate, incentrate a portare la pedina Italia in una posizione forte sullo scacchiere internazionale, dovendo evitare qualsiasi scacco matto.

La missione di Tajani, in particolare, è stata pensata per “rafforzare la cooperazione politica, economica, scientifica e culturale”, ha spiegato lo stesso ministro. A inaugurarla è stato l’incontro con il presidente israeliano Isaac Herzog. Il recente susseguirsi di scambi di visite diplomatiche tra Italia e Israele testimonia il fatto che Israele, ha sottolineato il vicepresidente del Consiglio, è considerato un “partner strategico per una collaborazione politica, nella lotta contro il terrorismo, nei settori più moderni dell’industria, dallo spazio, alla tecnologia, alle startup”. Nel colloquio “molto positivo”, Tajani ha parlato di Netanyahu di “tutti i temi della politica internazionale, dalla guerra in Ucraina alla situazione in Iran e i rischi nucleari, alla situazione in Medio Oriente”. È stata affrontata anche la questione immigrazione. Con l’obiettivo di fare dell’Italia uno snodo dell’energia in Europa, “rafforzeremo la collaborazione con Israele anche su questo fronte”, ha dichiarato Tajani che ha regalato al primo ministro israeliano la maglia rosa del Giro d’Italia. Un accordo per il riconoscimento delle patenti e uno di collaborazione strategica tra i ministeri degli Esteri, firmati da Tajani e dall’omologo Eli Cohen, sono la conferma che i due Paesi sono decisi far compiere alle relazioni bilaterali un “salto quantico”, per usare le parole di Netanyahu, discutendo con le aziende italiane a Roma.

Tra i due governi c’è sintonia: entrambi i leader sono membri della famiglia dei conservatori europei. Lo dimostrano anche le parole di Ofir Akunis, ministro dell’Innovazione israeliano, intervenendo al roadshow del programma Business Innovation Factory di Leonardo organizzato oggi a Tel Aviv e a cui ha preso parte anche Tajani. L’Italia è per Israele “uno degli stati più influenti in Europa” e “una delle collaborazioni più fruttuose” per quanto riguarda la cooperazione tecnologica, ha spiegato il ministro annunciato di avere in programma di visitare l’Italia nelle prossime settimane. Ma proprio il ruolo svolto da aziende come Leonardo e le attività strategiche portate avanti dalle burocrazie istituzionali rappresentano la migliore assicurazione del fatto che le relazioni tra Italia e Israele possano continuare a rafforzarsi nonostante in entrambi Paesi l’instabilità politica sia una costante.

E dopo Israele l’Egitto. Un cambio di quadrante, ma non di prospettiva politica. Perché i migranti partono soprattutto da Libia e Tunisia, ma è anche – e quasi soprattutto – su quella potenza regionale che è l’Egitto che si deve intervenire per arginare i flussi migratori. Ma per farlo, attraverso un “partenariato”, bisogna pure stabilizzare socialmente il Paese più popoloso del Nordafrica e Medio Oriente, alle prese con la crisi alimentare causata dalla guerra in Ucraina. Come emerso da dichiarazioni e indiscrezioni, ha puntato a questo la missione di sistema che il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha guidato al Cairo incontrando il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Con il capo di Stato egiziano “abbiamo parlato anche della questione migratoria” affinché “ci sia una riduzione delle partenze di immigrati irregolari sia dalla Libia sia dalla Tunisia”, ha detto Tajani, riferendo che Sisi “ci ha garantito l’impegno del suo Paese per collaborare con l’Italia affinché i flussi migratori illegali si riducano drasticamente nell’area del Mediterraneo”. “Certamente serve l’Europa, servono le Nazioni Unite”, ha ricordato il capo della Farnesina ma, ha avvertito, “l’Egitto è un grande Paese” e senza la sua “collaborazione” è “difficile poter risolvere questo problema”. Non tanto per dare qualcosa in cambio, quanto per contribuire ad evitare che un Paese da oltre 100 milioni di abitanti diventi una bomba migratoria piazzata direttamente sulla sponda sud del Mediterraneo, Tajani ha guidato una missione per lanciare un “partenariato Italia-Egitto sulla sicurezza alimentare” rafforzando il sistema egiziano di produzione di cibo e intensificando la cooperazione bilaterale in campo agroalimentare. Un’accelerazione che era stata impostata a dicembre nell’ambito multilaterale del “Dialogo Mediterraneo sulla sicurezza alimentare” e che ha visto ora sbarcare al Cairo una folta delegazione di imprenditori del settore agrifood e di organizzazioni internazionali (tra cui il programma “Prima” che gestisce 500 milioni euro di finanziamenti per la ricerca di settore nel Mediterraneo).

E’ stato impostato un “tavolo tecnico” italo-egiziano per “internazionalizzare le nostre imprese” e “sviluppare attività commerciali”, ha reso noto Tajani. In questo quadro, con l’Egitto ci sarà un “coordinamento” nel campo della ricerca scientifica, tra l’altro “l’agricoltura tecnologica”, ha annunciato il ministro dell’Università, Anna Mari Bernini. Gli obiettivi immediati della missione sono stati quelli di individuare progetti in grado di stimolare investimenti pubblici e privati nel campo della sicurezza alimentare, integrare le differenti modalità di finanziamento e attivare partenariati tra imprese egiziane e italiane. “Sisi ci ha confermato la volontà dell’Egitto di collaborare con il nostro Paese per trovare le giuste soluzioni”, ha rivelato poi Tajani con riferimento ai casi di Giulio Regeni e Patrick Zaki, problemi “ancora irrisolti. Dunque due missioni dal diverso peso, pur non partendo da presupposti troppo diversi, essendo simili nelle prospettive. Ora, però, è necessario creare una vera rete di rapporti mettendo a tema intenti e intenzioni, lasciando fuori i vecchi schemi della geopolitica. Collocarsi nella posizione d’interlocutore fra Israele e Egitto può essere una grande scommessa, sia pur con un rischio elevato. Ma vale la pena rischiare, ora più che mai.

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