In un mondo globalizzato, è estremamente improbabile evitare una reintroduzione dell’infezione, anche venisse eliminata, da parte di regioni di quella metà del pianeta non vaccinata. In ogni caso la stragrande maggioranza della popolazione, circa il 90%, in Italia è attualmente vaccinato, in gran parte con ciclo completo e in misura crescente anche con dose booster. Questo si traduce, per quanto concerne la valutazione dei dati di incidenza (nelle quattro categorie: casi diagnosticati, ospedalizzati, ricoverati in terapia intensiva e decessi), in un “fenomeno paradosso” per cui i numeri assoluti nelle varie categorie possono essere maggiori tra i vaccinati rispetto ai non vaccinati per via della progressiva diminuzione del numero di questi ultimi.
Per rendere possibile il confronto fra queste due diverse popolazioni è pertanto necessario per ognuna considerare il tasso specifico, ovvero il numero di eventi per 100mila occorsi in un certo periodo diviso la popolazione in ciascuna fascia di età. Le valutazioni analitiche, rapportate alle quattro categorie di stato clinico di cui sopra, si riferiscono quindi al tasso di incidenza per 100mila e alla valutazione del rischio relativo per stato vaccinale e per classe di età in un determinato periodo di tempo.
Così, per esempio, per i soggetti della classe di età 80+ non vaccinati, nell’ultimo mese, il rischio relativo di ricovero in terapia intensiva è più elevato di otto volte rispetto ai vaccinati con ciclo completo da meno di 120 giorni e di 77 volte rispetto ai vaccinati con dose booster. Con riferimento ai vari stati clinici vale il concetto che la protezione conferita dal vaccino, e quindi l’impatto sul rischio relativo, è più elevata nei confronti della malattia severa (ospedalizzazione e ricovero in terapia intensiva) rispetto alla acquisizione dell’infezione (diagnosi).
Analoghe valutazioni ovviamente possono essere fatte per la stima di efficacia vaccinale, che misura la riduzione percentuale del rischio. Nell’esempio precedente di soggetti della classe di età over 80, la riduzione del rischio di malattia severa è dell’89% nei vaccinati con ciclo completo e del 98% nei vaccinati con dose booster. Questi valori sono più elevati rispetto alla riduzione del rischio di contagio, rispettivamente pari all’85% e al 94%. In sostanza vale il concetto che, in generale, il soggetto vaccinato con ciclo completo ha un rischio minore (di oltre il 71%), anche se presente, di contrarre l’infezione ma un rischio fortemente ridotto (di oltre il 93%) di sviluppare una malattia severa. Inoltre, si rileva come l’efficacia vaccinale, che declina con il tempo trascorso dalla somministrazione della seconda dose, risalga a valori anche più elevati di quelli iniziali a seguito della somministrazione della dose aggiuntiva/booster. A questo proposito va considerato che, a seguito del decadimento dell’immunità conferita dalla vaccinazione, come anche dal superamento dell’infezione/malattia, attualmente sempre più spesso ci confrontiamo con l’eventualità di reinfezioni, definite come documentazione con test molecolare/antigenico di un secondo caso di infezione da SARS- CoV-2 a distanza di almeno 90 giorni da una prima diagnosi o anche entro 90 giorni se sostenuta da ceppo virale diverso.
Nel periodo dal 28 agosto (data della definizione di caso di reinfezione) al 28 dicembre 2021 sono stati notificati 15.195 casi di reinfezione (1,4% del totale dei casi del periodo) da attribuire verosimilmente tutti alla variante Delta, essendo state le varianti Omicron segnalate in Italia solo a partire da dicembre. In effetti attualmente ci troviamo di fronte a due epidemie, dei “non vaccinati” e dei “vaccinati”, ulteriormente suddivise in due sub-epidemie, da “variante Delta” e da “variante Omicron”. Abbiamo dati per ritenere che la variante Omicron, sicuramente più contagiosa ma presumibilmente responsabile di malattia meno severa, prenderà il sopravvento fino a diventare prevalente. Da alcuni studiosi questa eventualità è auspicata poiché potrebbe avviare a stabilire una sorta di immunità generalizzata nei confronti di una patologia non grave e condurre quindi a uno scenario di possibile endemizzazione e “convivenza” con il virus.