Quando si esce da una situazione di emergenza è umanamente comprensibile il non volerne ricordare i momenti più difficili. Per la scienza invece è fondamentale tenere conto della battaglia condotta per prevenire futuri scenari di crisi sanitaria globale. Fra i provvedimenti adottati per arginare la pandemia da Covid-19 un ruolo assolutamente determinante ha avuto l’attuazione di campagne vaccinali di massa. Diversi vaccini sono stati impiegati: di questi alcuni classici a virus inattivati e ricombinanti, ma soprattutto sono stati i vaccini a m-RNA che hanno dimostrato notevole efficacia e consentito di limitare la diffusione e attenuare la gravità clinica in Europa, negli USA, Canada e Australia dove la pandemia ha riscontrato oltre l’80% della casistica mondiale ufficialmente notificata. Questi vaccini, disponibili già dopo 10 mesi dall’inizio della pandemia, frutto della ricerca in atto da oltre 20 anni in campo oncologico, sono stati approvati con procedura accelerata ma rispettando tutti i crismi previsti dalle agenzie regolatorie.
L’impegno sul terreno di centinaia di miliardi di dosi li annoverano fra i vaccini più sperimentati ed efficaci. Anche la sicurezza di impiego è ampia non essendo documentato nel periodo pandemico alcun aumento di mortalità in eccesso. Ma questi vaccini, efficaci e sicuri, non sono tuttavia perfetti. La ricerca dovrà proseguire in molteplici direzioni. Sarebbe utile avere vaccini pangenotipici attivi su tutte le variabili virali, vaccini che più efficacemente e a lungo stimolino l’immunità cellulo-mediata, vaccini mucosali che inibiscano l’ingresso del virus nelle prime vie aeree etc. Nella prima fase della pandemia, in assenza di vaccini e anche successivamente con l’emergenza di nuove varianti virali, è stato predominante l’impiego di classici metodi di contrasto, quali il distanziamento sociale (isolamento dei soggetti infetti e quarantena dei contatti, lockdown estesi a città o ad intere regioni), blocco o restrizioni dei viaggi internazionali e domestici, inibizione dell’accesso a locali o a manifestazioni pubbliche (certificato da green pass). Questi provvedimenti hanno avuto carattere eccezionale; invece carattere generalizzato hanno avuto l’impiego di dispositivi di protezione individuale, in particolare delle mascherine facciali Ffp2. Queste hanno dimostrato la massima efficacia determinando, di riflesso, anche l’eliminazione di altre infezioni respiratorie, incluse le epidemie stagionali di influenza.
Abbiamo dati che nell’evoluzione della pandemia si sia progressivamente ridotta la gravità della malattia e la mortalità. Che questo sia dovuto a minore virulenza delle nuove varianti virali (Omicron e varie subvarianti) sembra suggerito da dati sperimentali. In aggiunta va considerato il dato epidemiologico di una generale “premunizione” delle popolazioni indotta dalla estesa vaccinazione e dalla elevata prevalenza di infezione naturale. Certamente è tuttavia presente una quota di pazienti fragili e/o anziani per cui continua a essere raccomandato l’uso di mascherine facciali e il ricorso a vaccinazioni anche semestrali. Appresi questi concetti ora resta da “applicare la lezione”. Nella certezza che nuove pandemie si manifesteranno in futuro, è necessario non farsi trovare impreparati come è stato di fronte al COVID-19. L’O.M.S. preconizza l’istituzione di un Global Health Emergency Corps che connetta in rete i vari Comitati di Controllo e Prevenzione delle Malattie e i vari Istituti Sanitari nazionali con l’obiettivo di attuare e aggiornare Piani Nazionali di Prevenzione con precisa indicazione di “chi debba fare cosa”. Sarà necessario implementare periodiche simulazioni di intervento, predisponendo e impiegando standard di comportamento e strumentali. Tutto ciò comporterà l’erogazione di adeguati finanziamenti pubblici e privati. E’ necessario d’ora in poi pensare alle pandemie come si pensa ai disastri naturali: incendi, allagamenti, terremoti e predisporre adeguati sistemi di protezione civile.
Nel mese di gennaio 2023, la Cina era in evidenza nella classifica mondiale dei nuovi casi e anche dei nuovi morti, in decremento i primi dell’85% e i nuovi morti in incremento del 245%, confermando il decalage cronologico fra tempi dell’infezione e dell’esito infausto. Una buona notizia è che apparentemente è stato scongiurato il rischio di una nuova forte “ondata” nel mese di febbraio a seguito dei tradizionali viaggi di milioni di persone, in occasione del capodanno lunare cinese. L’incremento dei nuovi casi in questo periodo si è verificato ma in proporzioni limitate, nell’ordine di migliaia di casi. II report O.M.S. di fine gennaio 2023 ha documentato che, raggiunto il culmine nel dicembre 2022, è iniziato il declino della curva dei casi e questo declino si è confermato nei mesi di febbraio e di marzo. In ragione di un decalage temporale fra casi e morti, il declino si è registrato anche per i morti a partire dal mese di febbraio 2023 e confermato nel mese di marzo 2023. Questa situazione ha indotto Tedros Gebreyesus, direttore generale Oms., a preconizzare la fine dell’epidemia e il passaggio ad una condizione di endemia. Questo annuncio si riferisce a un ambito di sanità pubblica, significa cioè fine dell’emergenza del sovraccarico del sistema sanitario con sottrazione di risorse alle “altre patologie”. Non significa scomparsa del virus e del rischio individuale di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 e il Covid-19. Significa semplicemente che questa situazione di endemia verosimilmente potrà essere gestita con una vaccinazione annuale anti-Covid, abbinata alla vaccinazione anti-influenzale, con l’impiego di vaccini analogamente aggiornati anno per anno sulle nuove varianti.
La previsione di un passaggio all’endemizzazione sembra essere confermata nel bollettino Oms del 4 maggio 2023 che registra un ulteriore declino nel mese di aprile delle curve dei nuovi casi e dei nuovi morti globali (del 17% e del 30% rispettivamente). Anche se in questo scenario favorevole fa eccezione il clamoroso incremento nella Regione del Sud-Est Asiatico di oltre il 450% dei nuovi casi e del 300% dei nuovi morti. Benché l’incidenza di questa Regione sulla casistica globale sia modesta, inferiore al 10% e al 5% rispettivamente per nuovi casi e nuovi morti, tuttavia testimonia la persistenza di focolai attivi, a macchia di leopardo. In definitiva, ci sentiamo autorizzati a un cauto ottimismo e si attualizza la speranza di fine dell’emergenza epidemica. Ma la pandemia lascerà comunque strascichi: il long covid, una sindrome che interessa una percentuale importante, fra il 10 e il 15% dei pazienti che hanno avuto il Covid (specie gli adolescenti che hanno avuto la malattia grave) di cui dovremo valutare appieno l’impatto nei prossimi anni. L’infezione da SARS-CoV-2 è una infezione trasmessa per via respiratoria, attraverso droplets e aereosol, sostenuta da varianti virali successivamente predominanti, di un virus altamente trasmissibile. SARS-CoV-2 è una nuova specie di Coronavirus, verosimilmente trasmessa da pipistrelli all’uomo (zoonosi) e da uomo a uomo, che ha sviluppato rapidamente ondate epidemiche impattando su popolazioni sfornite di protezione immunitaria.
Tutto ciò ha determinato lo sviluppo di una pandemia di oltre 760 milioni di casi, che nell’era moderna trova riscontro per ampiezza solo nell’influenza “spagnola” del 1919, che presentava caratteristiche epidemiologiche analoghe, in più aggravate dagli esiti di una guerra mondiale. Cumulativamente, a tutto il mese di aprile 2023 sono ufficialmente notificati 765 milioni di casi e 7 milioni di morti. La Regione Europa assomma la più alta proporzione di casi (36%) e la Regione Americhe la più alta proporzione di morti (43%). La Regione del Pacifico Occidentale, che include l’India, registra il 27% dei casi e la Regione del Sud Est Asiatico, che include la Cina, il 12% dei morti. Le due restanti Regioni assommano proporzioni inferiori al 5%. Questi numeri si riferiscono ai casi ufficialmente notificati all’O.M.S. ma a causa delle sotto diagnosi e delle sotto notifiche, si stima che le cifre reali assommino ad almeno 4 volte in più. I tassi di letalità (CFR) sono estremamente variabili, superiori all’1% nelle Americhe, in Russia e in India. In Europa il Regno Unito registra lo 0.9%, l’Italia lo 0.7%, Germania e Francia lo 0.4%. La curva della letalità è in progressivo declino rispetto ai tassi che si registravano nel primo periodo pandemico, in cui inoltre i dati erano fortemente sottostimati.