Il probabile omicidio di Saman è innegabilmente un femminicidio ed ha il suo assurdo movente nell’aberrante cultura patriarcale mescolata all’integralismo religioso. Le speranze di trovare la ragazza viva, purtroppo, credo siano ridotte al lumicino. Saman ha pagato con la vita non solo le abiezioni del patriarcato di matrice islamica, ma anche il suo diritto di essere libera di scegliere chi amare. Una religione, in funzione della persona, non può mai comprimere il bene supremo della libertà individuale. Un essere umano deve poter essere libero di realizzare i suoi desideri e le sue aspirazioni.
A uccidere Saman non è un uomo che nutre per lei un sentimento negativo, bensì un pregiudizio familiare che vuole si applichi la sua regola assurda: le donne che disobbediscono vanno punite anche con la morte. Non mi pare onesto dire che la piccola Saman sia soltanto fuggita dal matrimonio forzato. Lei ha scelto di esistere, di autodeterminarsi e di poter amare. Il problema non è solo culturale e religioso, ma riguarda anche la negazione dei diritti fondamentali della persona umana.
Riflettendo con i miei studenti ci è sembrato ovvio che in ambienti in cui la donna vive una situazione di sudditanza, dove il maschilismo la fa da padrone e le figlie non hanno voce in capitolo, si possano creare situazioni di aberrazione che travalichino proprio il senso di umanità. Noi italiani non possiamo neanche erigerci a impeccabili censori poiché fino a pochi anni fa il nostro codice penale puniva la commissione di un delitto perpetrato al fine di salvaguardare l’onore – ad esempio l’uccisione della coniuge adultera o dell’amante di questa o di entrambi – con pene attenuate rispetto all’analogo delitto con movente differente. Quest’assurdità era vigente poiché si riconosceva che l’offesa all’onore arrecata da una condotta “turpe” equivalesse a “gravissima provocazione”. La riparazione dell’onore fino al 1981 non causava riprovazione sociale. Nel nostro ordinamento era accettabile vendicare l’onorabilità del proprio nome o della propria famiglia.
L’insensato onore è ancora oggi, purtroppo, riconosciuto in alcune legislazioni come un valore socialmente rilevante di cui si possa e si debba tener conto anche a fini giuridici e quindi anche in ambito penale come circostanza attenuante. La ragione della probabile morte di Saman s’inserisce nella considerazione della motivazione di simili condotte umane, che in alcune culture possono tener tragicamente conto di esiti estremi conseguenti proprio alla reputazione sociale. Un padre che ordina l’uccisione della figlia per così futili motivi, se così sono andati i fatti, è un essere umano già morto anche se biologicamente ancora vivo. Credo siano queste le concezioni pericolose da sradicare, a prescindere dalle culture e dalle religioni.
La violenza di genere, perché di fronte a questa condotta siamo, è trasversale a culture e religioni e riguarda essenzialmente l’io. È un problema di come si concepisca l’essere umano e cioè se si ritenga mezzo o fine all’interno di un gruppo sociale organizzato. Come criminologo sono nettamente a favore di qualsiasi misura sociale preventiva e repressiva contro le discriminazioni che fanno distinzioni legate al sesso, alla razza, alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche, alle condizioni personali e sociali. Non dimentichiamo che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando, di fatto, la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (…). Proprio in questo sviluppo della persona rientra, senza dubbio, quella libertà di amare della quale è stata incomprensibilmente privata la piccola Saman. Per questi motivi saremo sempre in favore della difesa dei diritti di tutti, senza se e senza ma, dando in tal modo un messaggio forte e chiaro innanzitutto alle nuove generazioni.
VINCENZO MUSACCHIO – Giurista, criminologo e docente di diritto penale. Associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.